venerdì 26 febbraio 2016

Non posso votare ma potendo sarebbe: si al raddoppio del Gottardo








Rocco Cattaneo (presidente Plrt) - Scegliere tra coraggio e paura

A poche ore dall'appuntamento con le urne voglio ribadire che due tra gli oggetti in votazione il 28 febbraio saranno determinanti per il futuro del nostro Cantone: il risanamento della galleria autostradale del San Gottardo. Si tratta di scegliere tra futuro e passato, tra coraggio e paura, tra rinnovamento e immobilismo. Dobbiamo puntare al raddoppio per migliorare l’attrattiva del Ticino. Per garantire occupazione, benessere e competitività economica.
Al risanamento del Gottardo bisogna votare Sì per almeno due semplici motivi. Il primo è la sicurezza. Il secondo è che, senza la seconda canna, il Ticino resterà isolato dal resto della Svizzera e dell’Europa per tre anni. Perché, volenti o nolenti, la galleria andrà risanata.
A chi si oppone, pongo questa domanda: chi pensate che deciderà ancora di investire in un Cantone destinato all'isolamento dal resto della Svizzera? Gli oppositori stanno facendo di tutto per denigrare il progetto con fanatismo ideologico ma, soprattutto, senza essere mai riusciti a proporre una valida alternativa.
Il risanamento del tunnel è stato inserito in una legge specifica, che impedisce di utilizzare la galleria con due corsie per senso di marcia. Ecco perché il traffico non aumenterà e la seconda canna non inciderà dunque sui volumi di traffico del Sottoceneri.

Gottardo che resta una delle gallerie più pericolose d’Europa: dal 1980 ad oggi si contano infatti ben 37 morti, contro i 9 del tunnel del Seelisberg, aperto nel medesimo anno e con un volume di traffico superiore al Gottardo! Il fanatismo e le motivazioni ideologiche paralizzano il progresso e uccidono lo spirito imprenditoriale, senza il quale l’economia muore. Pensiamo al turismo, che già sta vivendo una crisi epocale: proviamo a immaginarci gli effetti devastanti che avrà su questo settore una chiusura prolungata dell’unico collegamento autostradale con il Nord delle Alpi. Pensiamo alle relazioni d’affari internazionali, alla piazza finanziaria, che già vive gravi difficoltà… Pensiamo ai nostri posti di lavoro!

mercoledì 24 febbraio 2016

L'accademia del Nero: imparate l'italiano, idioti.

Se possiedi le parole, possiedi le cose.



Sempre più spesso - come già accennato in altri post - mi tocca subire gli stupri inflitti alla lingua italiana da parte di persone il cui cervello è funzionalmente inattivo: come se fosse stato asportato perché leso in modo grave da processi patologici. 
Per esempio mi riferisco all'uso improprio, errato, sbagliato, fallato, mancato di "a posto" e "apposto", roba che mi fa oltremodo incazzare.

Vediamo di capirci per bene:

a posto è una locuzione
Ho messo a posto la macchina;
Voi non avete il cervello a posto.

Il Papa ha apposto il sigillo Anulus piscatoris;
La firma che ho apposto è autentica.


Come disse il paracadute...Mi sono spiegato?

lunedì 22 febbraio 2016

Teatro Sociale Bellinzona - Decamerone: vizi, virtù passioni.



Decamerone: vizi, virtù, passioni.
Liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio

Adattamento e regia: Marco Baliani
Drammaturgia: Maria Maglietta
Scene e costumi: Carlo Sala
Disegno luci: Luca Barbati
Produzione: Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo, 2014


Con:
Stefano Accorsi – Panfilo – Mastro di Brigata 
Silvia Ajelli – Fiammetta – L’innamorata
Salvatore Arena – Filostrato – Il fedele 
Silvia Briozzo – Elissa – La generosa
Fonte Fantasia – Pampinea – La giovine 
Mariano Nieddu – Dioneo – Lo scaltro


Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente vivendo. Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte. Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo. Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda. Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare.

In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti.
Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce. Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello.
Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell'amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che il re è nudo e che, per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti.

Marco Baliani 




domenica 21 febbraio 2016

Tale è la forza del vero che, come il bene, è diffusivo di sé.




Ubertino: Quando la femmina, che per sua natura è tanto perversa, diventa sublime per la sua santità, essa può essere il più nobile veicolo della grazia...Pulchra enim sunt ubera, quae paululum supereminent. [Il nome della rosa]

venerdì 12 febbraio 2016

Alla lunga, la tolleranza genera più mali dell'intolleranza. (Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati, 1973)



Succede: mi fermo per pensare a ruota libera - capita frequentemente - e scopro di aver preso, in un momento imprecisato, la decisione di non tollerare più tutta una serie di stronzate che la "civiltà" odierna pretende di imporre. Una di queste è lo scontro: ormai è bandito, proibito, esiliato. Non intendo quello militare (che già ha i suoi problemi) ma quello fra le persone. Sono nato e vissuto in quell'arco temporale dove si menavano le mani, dall'asilo all'università, dall'oratorio al campo di basket. Per tanto o poco che fosse ci si picchiava perché se dicevi o facevi una cosa che superava il limite, subito dovevi fare a cazzotti. Lo dovevi fare in quanto il tuo interlocutore (a volte erano al plurale) non tollerava quello che avevi detto o fatto, provava rabbia e la esprimeva in un misto di parole e fatti: i cazzotti, appunto.
Questo era un bene, anzi un benissimo, così imparavi che le parole e i gesti e i fatti hanno un limite e se lo superi finisce a botte. Non aveva nessuna importanza vincere o perdere, comunque si davano e si prendevano ed era propedeutico per capire che non puoi avere troppi "nemici" perché non puoi passare la vita a menarti come se non ci fosse un domani. Lapalissiano, no? Fare a pugni significava qualche naso e mano sanguinante, occhi pesti e male ai testicoli ma ne valeva la pena, il limite della tolleranza tua e degli altri era chiaro e preciso come il teorema di Pitagora. S'imparava quindi a non infastidire, petulare, fastidiare (magari come verbo non esiste ma rende l'idea): insomma, a non essere rompicoglioni. Se tu superavi o un altro superava questo limite, scattava immantinente la lotta.
Purtroppo oggi - nel senso da qualche lustro - non è più così. La mancanza di socializzazione fra i ragazzi nella vita di tutti i giorni, il passare ore e ore fra pc, console e smartphone ha ottenuto il risultato che questi non si menano più. Riescono a sopportarsi ma non a conoscere i limiti della tolleranza perché non si frequentano quasi mai “dal vivo”. Ergo non sanno e non capiscono che esistono questi limiti e che rendersi fastidiosi ecc ecc verso gli altri vuol dire, a un certo punto, costringere la gente a incazzarsi e rispondere perlomeno a tono. Ma questa società "civile" non vuole che accada, scherzi?, e ti obbliga a "dialogare e parlare" e se qualcuno ti infastidisce è una “provocazione” e devi vincere con le tue ragioni. Stronzate. 
Se uno vuole discutere di ragioni mi sta bene però lo deve fare in modo da non darmi fastidio. Significa sviluppare a priori una sensibilità attraverso cui nota il segnale di fastidio iniziale e si ferma in tempo. Invece no: loro non hanno mai scazzottato quindi non hanno mai imparato a distinguere la linea dell'intolleranza, un lampeggiante “stop” impossibile da ignorare. Su internet, poi, non ne parliamo: siccome non puoi neanche menarti, son tutti leoni da tastiera dove credono sia lecito dire quello che vogliono sfinendoti e non potresti (società docet) avere neanche il diritto di sfancularli.
Spiacemi ma i limiti ci sono e ci tengo anche molto a mantenerli tali: limitatissimamente limitati. Voi  fanciulli siete convinti che tutti vi debbano sopportare e tollerare ma sono vecchio e da giovine facevo a cazzotti. Quando uno - appositamente o meno - mi provocava otteneva cazzotti. E lo stesso facevano gli altri con me. Se siete dei “provocatori”, se le vostre frasi irritanti entrano nel novero delle “provocazioni”, ebbene io vi mando tranquillamente a soddisfare le voglie di chi preferisce il retro al fronte. Senza nessun pentimento postumo. Non è una questione di avere delle ragioni o meno. Me ne fotto delle ragioni se la gente non si premura di non rompermi il cazzo. Quando il rischio della scazzottata era nell'aria, prima di interagire con una persona ci si chiedeva al volo se si voleva diventare un problema per lui. E se la risposta era sì, bisognava anche chiedersi di quanto si voleva diventarlo. Oggi non più: tanto, dietro il monitor non succede nulla. Però, anche nel mondo di internet, esistono dei luoghi dove è possibile mettervi in difficoltà, fanciulli: cancellarvi da un social, bannarvi da un forum (essere moderatore in alcuni offre grandi possibilità al riguardo) piuttosto che segnalare urbi et orbi quanto siete rompicoglioni. Non per altro vengo rimproverato sovente perché banno facilmente. Sbagliate: non è vero che è facile. Semplicemente ho stabilito dei limiti oltre i quelli non potete "esistere nel mondo virtuale" e quindi vi banno o cancello. Ripeto: se siete fastidiosi date fastidio e a me il fastidio non piace. In altre parole: io non ho mangiato la mela e quindi adesso devo partorire con dolore e guadagnarmi il pane con il sudore della fronte: quella è roba per i santi e io a quelli non credo. Pertanto non son tenuto a sopportarvi. Così, non me ne frega una mentula di argomentare, se infastidite: io sono tra quelli che hanno deciso di non tollerare. Rompete gli zebedei e vi sfanculo. Vi comportate in maniera insultante e vi sfanculo. Secondo la società odierna il dialogo è moralmente obbligatorio, ci vuole il contraddittorio e non so che altro. Non mi interessa la malata società odierna. Quindi fanculo a lei e a voi infastidenti.
In verità, come non avete capito che essere fastidiosi sul web porta comunque a delle conseguenze, così non avete capito che anche nella vita reale succede; se siete quelli fastidiosi, provocanti, fraintesi, quelli della verità scomoda o siete complottisti, quelli del rompere l'ipocrisia o altro ancora, vi staranno alla larga tutti. Se non riuscite a parlare senza irritare e poi dite di “essere stati fraintesi”, rompete i coglioni e la gente preferisce un’afta epizootica alla vostra compagnia. Se avete sempre una verità scomoda da declamare, dopo un pochino uno si stufa di tutta questa scomodità (dopotutto non ho mai fatto voto di sapere la verità a costo di rimetterci il fegato e tra il fegato e la verità mi tengo il fegato) e cambia poltrona.
Se fuori da Internet siete le stesse persone, e non vedo come potrebbe essere diversamente, la gente ne ha piene le palle di voi. E vi evita perché siete dei petulanti rompipalle. Così, andate per forum, social, blog a commentare (!). Ecco: quando mi capitate fra i piedi o vi riconosco dai post (siete come le impronte digitali: facili da individuare) posso fare quello che fanno gli altri quando andate da loro con la verità scomoda e gli rompete le ipocrisie con le vostre provocazioni. Sfancularvi, cancellarvi, bannarvi. Non ho il dovere di dovervi sopportare oltre lo stretto necessario per eliminarvi. Non sono tenuto al contraddittorio né al dibattito.
Non sono tenuto a nulla se non al mio piacere di vivere in pace.