giovedì 31 dicembre 2015

"Con quale desiderio Lei entra nell'anno nuovo?" Con il desiderio di essere risparmiato da domande del genere.



A chi ama dormire ma si sveglia sempre di buon umore.
A chi saluta ancora con un bacio.
A chi lavora molto e si diverte di più.
A chi va in fretta in auto ma non suona ai semafori.
A chi arriva in ritardo ma non cerca scuse.
A chi spegne il televisore per fare due chiacchiere.
A chi è felice il doppio quando fa la metà.
A chi si alza presto per aiutare un amico.
A chi ha l'entusiasmo di un bambino e i pensieri di un uomo.
A chi vede nero solo quando è buio.
A chi non aspetta il nuovo anno per essere migliore.



Buon 2016 a tutti.

venerdì 25 dicembre 2015

Ama i tuoi concorrenti. Sono gli unici che ti rendono tanto bravo quanto puoi esserlo. (Harvey B. MacKay)

I clienti, non i concorrenti, decidono chi vince (posto che vi sia un vincitore).




Ma di che scrivo?
Non della polemica sul preside e il suo no al Natale; può anche andar bene, però niente Ramadan o comunque tradizioni religiose varie, allora.
Non della direttrice e delle canzoni "troppo natalizie"; certo, a Natale tutti intoniamo canzoni Heavy Metal.
Non di Severgnini che pretende d'insegnare alla Fallaci il mestiere; a forza di scrivere le stesse cose qualche stronzata doveva pur fuoriuscire dal suo cervello, peccato.
Non della solita questione su cosa inquina di più fra l'auto elettrica e le centrali per produrre l'energia per alimentarle; c'è pur sempre Darwin, se non lo capite.
Non del fatto che la Formula E non si disputerà a Lugano nel 2016 perché sarebbe lungo elencare i mille idioti del "no questo no"; ricorda nulla il partito del no?
E non della querelle della camicia svizzera che sembra un segno razzista nei confronti delle minoranze etniche; oh, my God, pure questa ci doveva capitare.
Oggi parliamo di poker; no, non quello da bisca - per piacere! - ma quello sportivo.

Sì, parliamo di poker nei casinò perché - finalmente - anche a Lugano si potrà giocare avendo una valida alternativa alla più conosciuta Campione d'Italia, a un tiro di schioppo sull'altra sponda del lago Ceresio.
Il fatto, in poche parole e per coloro che di poker sportivo non ne masticano: a Lugano il casinò cittadino ha inaugurato, dopo anni di inedia simili a quelli trascorsi dalla Bella Addormentata nel Bosco in attesa del principe azzurro, una nuova stagione dedicata alla suddetta disciplina mandando in fibrillazione il concorrente diretto, finora unico e assoluto signorotto del feudo.
Ma perché mai dovrei parlarne rischiando di farne un editoriale e neanche a pagamento? Perché si è innescata la solita, tipica "italianità" da parte di chi credeva d'essere l'unico a poter dettar legge e invece adesso si trova costretto al confronto con chi mette in campo metodi nuovi offrendo valide alternative al solito tran tran.
Una pecca che ci si poteva risparmiare evitando così una delle solite figuracce che accompagnano di norma gli italiani e per le quali siamo, ahimè, conosciuti. Infatti con una reazione che rasenta l’isteria siamo capaci di azzerare professionalità e capacità lasciando emergere la più trista improvvisazione. E queste cose mi fanno adontare.

Parliamoci chiaro: mica possiamo mettere in competizione sullo stesso piano i due casinò! Prima di tutto, pochi ci pensano, ma si trovano in Stati diversi e quindi con regolamentazioni fiscali diverse; quello di Campione può contenere oltre ottocento persone sedute contemporaneamente ai tavoli mentre quello di Lugano circa duecentosessanta. Quindi, per logica, una serie infinita di tornei sono perfetti nel primo ma impossibili da giocarsi nel secondo.
Ora, a me giocatore, quel che più importa non è chi l'ha più lungo e duro ma chi offrirà il meglio affinché possa divertirmi e giocare quindi con piacere.
Dalla prime impressioni (Lugano ha aperto a metà Dicembre) e dalle conversazioni fatte o captate è chiaro come il sole che Carlo Savinelli, poker manager di Lugano e giocatore professionista di certa fama, ha puntato sulla qualità dei servizi: bevande gratis e cibo a prezzi equi portati direttamente ai tavoli da gioco, attenzione all'architettura degli spazi (emblematica la “zona fumatori” degna di questo nome, correttamente isolata), offerta di ristorazione e di hotel a prezzi decisamente competitivi e poco svizzeri. Si è anche dato da fare contando sulla sua personale amicizia con player molto famosi e professionisti per creare una scuola unica al momento e gratis per chi vuole partecipare alle sessioni d’insegnamento. Ha strutturato  una offerta di tornei particolare che non riguarda solamente il solito hold'em. Insomma, per usare un termine caro ai professionisti del marketing, ha fatto, sta facendo e farà di tutto per “deliziare” i clienti. In più si è premurato di spiegare a tutti – credo lo abbia detto anche a quelli che portano i cani a passeggio nel vicino Parco Ciani – che non è in competizione con Campione, non ci sono i presupposti, non c’è neppure la stessa filosofia imprenditoriale, soprattutto non ci sono gli spazi. E’ ovvio, logico e sacrosanto che cerchi di puntare a obiettivi diversi.
D'altro canto a Campione il buon Andrea Bettelli (poker manager del casinò) ha sparato fuori a raffica una serie di tornei da pochi euro con montepremi succosi nel tentativo di arginare...Ecco, arginare cosa? Un giocatore è portato a pensare, è inevitabile, che se non ci fosse stato Lugano, a Campione manco gli veniva in mente d'investire così tanto e quindi ben vengano nuove possibilità di gioco e di servizi: migliorano l'offerta e allargano il range  di partite più consone ai propri desideri.

La concorrenza non è mai un male né per chi vende né per chi compra, è invece uno stimolo per spingere verso l'alto la qualità dei prodotti offerti. I veri competitor (tiè, uso pure un altro termine markettaro) semmai li dovrebbero individuare insieme e far fronte comune, non ci sono poi così tanti chilometri di distanza dal casinò concorrente più vicino a entrambi.

mercoledì 23 dicembre 2015

Natale è il solo periodo dell’anno in cui un uomo barbuto può deporre un pacco di cui non si conosce il contenuto e ripartire senza che nessuno si inquieti.




Uno splendido natale a tutti coloro che amo, apprezzo o comunque sopporto. 
A tutti gli altri un fantastico fanculo con la speranza che scompariate per sempre (chissà se Santa Claus mi regalerà questa piccola gioia?).

Enjoy at all:)

lunedì 21 dicembre 2015

Quando si guardano troppo le stelle, anche le stelle finiscono per essere insignificanti.

Mi è capitato - e mi capita tuttora - di essere "sbeffeggiato" per determinati miei pensieri e comportamenti da persone che sia sui social/forum sia dal vivo mi definiscono mostro o animale e anche egoista e insensibile perché mi sono adontato per Parigi ma non per Beirut o per la Nigeria o altro ancora e perché distinguo i morti di serie A, B, C e oltre. Vi dirò una verità dolorosa ma inconfutabile: è normale. E non vale solo per me.

Se dovesse succedere qualcosa (e si intende qualcosa simil Parigi, chiaro) a qualcuno a me vicino, sarei  particolarmente colpito e anche sconvolto. Sarebbe normale.
Se capita qualcosa nel mio paesello o nella mia regione è normale che mi agiti.
Se in un paese, nel senso di stato sovrano, affine al mio che riconosco come familiare succede qualcosa mi preoccupo.
Quando tutto questo capita in paesi che non conosco, distanti non solo geograficamente e popolati da persone a me non affini, mi limito a constatare che è successo qualcosa di molto brutto e basta. Morta lì.

Mettere tutto sullo stesso livello è una stronzata, chiaramente di matrice di quelli che non sopporto in primis – sì, avete capito bene, parlo di quelli quelli - perché significa non interessarsi a nulla: se uno provasse davvero dolore per ogni strage o problema irrisolvibile del mondo sarebbe già morto da un pezzo di dolore o suicida per disperazione. Dichiarare di preoccuparsi per tutto farà sentire quelli quelli forse politicamente corretti e moralmente superiori, in realtà sono solo completamente stupidi.
E' vero, da un punto di vista etico e astratto non ci sono morti di serie A o di serie B o altro ancora ma la percezione che ognuno di noi ne ha - di quelle morti - ammette tutte le sfaccettature possibili. 
Un’ultima riflessione: ogni giorno siamo bombardati da notizie di stragi, epurazioni, omicidi di massa. Ci stiamo abituando alle morti collettive, l’informazione-catastrofe è il veleno quotidiano di questo primo stralcio di secolo. Ci viene somministrato a piccole dosi ed è già entrato in circolo secondo un programma di assuefazione del quale è difficile individuare l’ideatore. Se continuiamo così presto anche la perdita di un parente stretto sarà vissuta nell'indifferenza. Ma probabilmente accadrà in un futuro per fortuna ancora abbastanza lontano. Di quello i quelli quelli – scusate il bisticcio di parole – dovrebbero preoccuparsi se davvero avessero a cuore le sorti del mondo da lasciare ai nostri bis e tris nipoti.

giovedì 17 dicembre 2015

Le fulmicotonate (aka battute umoristico-sarcastico) di Daniele Villa

Anche quest'anno vi propongo le più belle (a mio giudizio) battute scritte da Daniele Villa.




1) Il più pessimista al mondo sull'amore comunque non è Leopardi, ma Mastrota che vende il materasso singolo garantito per 20 anni.

2) Non mi sembra il caso di prendere in giro la Cristoforetti quando lei parla 5 lingue e alcuni di noi se gli dici "Hello" rispondono "Spank".

3) Stasera alle ore 21 su Canale 5 c'è "Quello che le donne vogliono". Quindi non si sa cosa c'è stasera alle 21 su Canale 5.

4) M'avete cresciuto dicendomi che la figlia del dottore si scopava le civette e ora volete farmi credere nella famiglia tradizionale???

5) Ma davvero vi stupite per il doping in Russia? Pensavate che ascoltassero Pupo, Al Bano e Toto Cutugno senza prendere niente?

6) Battiato non si rompe il femore, al massimo lui ha "Turbamenti che ostacolano il cammino sulle vie che portano all'essenza"

7) Ieri tutti francesi, oggi tutti greci. Spero non accada nulla in Liechtenstein perché non so come cazzo si chiamano gli abitanti.

8) Il figlio di Tsipras è tornato con la pagella:
"Papà, devo recuperare un debito..."
"BASTAAAA CAZZZOOOOO"

9) Contro i vecchietti della posta persino i terroristi si arrenderebbero:
"FERMI TUTTI HO UN AK47!"
"Giovanotto io ho il 46, son prima"

10) I primi dubbi su Giuda vennero quando alla tombola di Gerusalemme urlò: Trentatrè Gli anni di Cristo!".

11) "Ehy bimbo quanti anni hai?"
"5"
"Hai scritto a Babbo Natale?"
"No, ho creato una wish list sul mio iPad e gliel'ho sharata con Dropbox"

12) Ha ragione Bagnasco, il problema delle malattie nelle coppie gay è serio.
Due maschi in casa con 37.1º di febbre chi cazzo li cura???

13) Volevo dire a Dio che l'amore è un dono bellissimo ma se fai la busta coi soldi non sbagli mai.

14) Quando sarai mamma capirai
Mamma, veramente sono un uomo
Ah, allora non capirai un cazzo

15) "Vado a fare il bagno, ciao!"
"Ma c'è bandiera rossa!"
"Ok allora vado a fare il bagno bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao"

16) Notavo che quando fa freddo i Testimoni di Geova sono molto meno interessati alla nostra salvezza.

17) Non vorrei sembrare troppo pessimista sulle sorti della mia Banca ma mi hanno appena regalato un'agenda Gennaio-Aprile 2016.

mercoledì 16 dicembre 2015

C'è sempre una prima volta...

...e questa è la storia della mia prima volta che esco a metà di uno spettacolo teatrale.




E' capitato ieri sera: al Sociale di Bellinzona c'era “Qualcuno volò sul nido del cuculo” che molti di voi ricordano per il famoso film americano tratto da un libro altrettanto a stelle e strisce di Ken Kesey.
Orbene, tale Maurizio de Giovanni e il teatro e fondazione di Napoli - con la regia di Gasmann - ne adattano il testo spostandolo in italia e più precisamente ad Aversa nel 1982. E fin qui, nulla da dire. 
Peccato che ne sia uscita una rappresentazione parateatrale semidialettale in napoletano a volte stretto che impediva di capire cosa cazzo dicessero i pur bravi attori.
Ci sono i famosi sette internati, un’ infermiera e una suora, due addetti alle pulizie e il medico. Ora, chi recita per almeno l'ottanta per cento dello spettacolo è il protagonista: lui parla come se fosse un personaggio di De Filippo, così come i due addetti. E' vero che c'è anche uno dei pazienti che spiccica quattro frasi in emiliano ma si autotraduce quando pronuncia cose poco comprensibili.
Io non ho nulla contro il dialetto partenopeo quando la commedia è tale – appunto il grande De Filippo, per fare un esempio - ma questo spettacolo avrebbe stonato comunque se fosse stato parlato in veneto piuttosto che in un altro dialetto. 
Mentre l'adattamento ha sicuramente senso per poter meglio incanalare in pochi metri quadri le varie atmosfere più vicine al senso e al gusto nostro, l'uso di un qualsiasi dialetto è da giro di chiglia: a meno che non si volesse trasporre l'opera in una commedia dialettale. A questo punto però te la guardi dove la comprendono, non la porti in giro neanche per l'italia e figurarsi all'estero. Qui hanno toppato alla grande sia il direttore del teatro che il regista che a mio avviso hanno preteso troppo. Non per niente il teatro era semivuoto e ho la certezza che chi ha riso, almeno sino alla fine del primo atto, lo ha fatto perché parla come il protagonista o sull'assoluta fiducia.

Insomma ho passato con la mia signora (che non mai riso, anzi era immobile in modo preoccupante. Poi mi ha spiegato che si sforzava di non perdere neanche una parola, l’illusa) la prima ora e quaranta a seguire con fatica. Gli attori hanno bravura da vendere ma mi sono annoiato e ci è scappato pure uno sbadiglio contenuto a fatica. Sì, come l'Imperatore Giuseppe II nel film di Forman quando ascolta Mozart che dirige Le nozze di Figaro: sbadigliando interrompe la rappresentazione.  In verità andò in modo diverso: non sbadigliò per noia ma per impedire che venisse chiesto il bis, altrimenti l'esecuzione di un'opera già di per sé lunga sarebbe continuata all'infinito. E annoiandomi chatwinamente mi chiedevo "che ci faccio qui?". Così, nell'intervallo, un paio di sguardi d'intesa con la mia signora sono bastati per andare con nonchalance verso il guardaroba e poi uscire come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

venerdì 13 novembre 2015

Un diritto non è che l'altro aspetto di un dovere (Sartre)



Ci siamo: ancora un uso a cazzum dei "diritti" e un intendimento - ancor più idiota - di salvaguardare qualcuno sul nulla. Come e dove? 
A Firenze dove c'è stata una querelle per la  decisione di una scuola di annullare la visita degli alunni a un'esposizione a Palazzo Strozzi dedicata alla raffigurazione del sacro nell'arte moderna per "venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche".

Tralasciando per un attimo il fatto che sarebbe utile sopprimere fisicamente coloro che hanno partorito l'idiozia, mi spiegate come fanno a vivere i non cattolici di Firenze? O meglio: i non cattolici in un paese pieno d'arte sacra come fanno a non rimanere turbati, depressi, schizofrenici e mentalmente disturbati?

A me sembra che voi dirittomani morirete blaterando fino all’ultimo fiato di diritti che siano civili o meno: dagli uomini che si sposano con uomini, donne con donne, mamme surrogato, figli in provetta su cui poter scegliere colore della pelle e capelli, gender e genitori uno/due e altri milioni di esempi.
A ogni capriccio di qualche lobby, subito pronti con il "diritto" perché è l'amore e la felicità a dover trionfare, non è vero?
Poi però c'è l'altro lato della medaglia: quello di una società dove è diritto (a discapito di tanti altri) spostare l'azienda dove ci sono schiavi invece che lavoratori, perché costa meno. È un diritto "assumere" gente che fa il lavoro senza garanzie e tutele, alla metà dello stipendio.
È un diritto incazzarvi contro "questo sistema" ma poi nel pratico non fate un bel nulla per cambiare le cose.
È tutto un diritto o presunto tale purché riguardi voi.
Quindi sì, dirittomani: morirete pieni di diritti civili, disoccupati ma contenti con un cazzo in culo.

Contenti voi...








lunedì 9 novembre 2015

Andiamo a teatro: Gabbiano di Anton Čechov



Un giovane teatrante pieno di dubbi sulla necessità del fare teatro oggi, un famoso scrittore che si interroga sulla necessità o meno di scrivere, una giovane ambiziosa che sogna il successo, una donna di successo che non sogna, un’umanità che desidera essere personaggio, personaggi che si specchiano in un lago che mostra la loro misera umanità.

“Perché scegliere di fare Gabbiano? È la domanda che continuo a farmi, alla quale non ho risposta. Almeno non una. Intanto è un Classico e questo mi permette di lavorare sulla memoria di un testo che ho sempre amato, su cui ho sempre lavorato, sul quale ho fatto centinaia di ipotesi, che ogni volta cambiano e si contraddicono. In secondo luogo mi viene da dire che Gabbiano parla di cose che tutti sanno: di rapporti familiari, di conflitti e di delusioni, senza averne consapevolezza. Entrare in un mondo familiare e vedere che ogni volta ti mostra qualcosa che non avevi notato dà la curiosa sensazione di visitare un universo conosciuto e, al tempo stesso, misterioso: “Čechov è talmente semplice che fa paura”, diceva Gor’kij.

Gabbiano è veramente un testo misterioso: ci mostra un’umanità, una famiglia che non riesce mai ad essere sincera e che, per riuscire a convivere, deve continuamente mentire e immaginarsi di essere qualcosa che non è.

Nel momento però che una cosa è immaginata, non diventa comunque vera? In Gabbiano tutti si rappresentano, anzi sono tutti ossessionati dalla rappresentazione. Si impegnano a vivere una vita che non è la loro e tentano di eternarla, di renderla un presente continuo. Non sarà perché tentano disperatamente di fermare la vita e bloccare dentro di loro il sinistro desiderio di voler uscire, di volare via per fare parte di qualcosa di più grande? Kostantin, nel suo testo, parla di un’anima universale che tutto ingloba; il medico Dorn parla del destino dell’umanità di ricongiungersi, prima o dopo, ad un tutto. Nina dice: “pensano che io voglia fare l’attrice, ma io sono attratta dal lago, come un gabbiano”. “Anche lo spirito è fatto di materia”, dice il maestro Medvedenko.

Teatro e mistero, verità e sogno. Non a caso i protagonisti sono attori, scrittori, registi, e l’umanità che gira intorno a loro, fatta di contadini, di lavoratori, non sogna altro che essere attori e scrittori. Ossessione della rappresentazione di sé. I personaggi recitano su un palcoscenico che si specchia in un lago che mostra a sua volta la loro misera umanità e l’incapacità di volare in alto. Il lago li attrae verso il basso.

Il lago: l’etimologia della parola viene dal latino Lacus e significa cavità, spaccatura, incavo riempito d’acqua, che lega anche con Lakkós, il baratro. Se la parola fosse presa nel suo significato simbolico, potremmo dire che chi vive vicino ad un lago vive su una spaccatura, su un baratro. Il lago, quindi, condiziona le vite di chi lo abita, di chi lo affronta. L’incavo è però riempito d’acqua dolce, piatta, che fa da specchio. Per questo, spesso, il Lago diventa anche sinonimo di occhio, è l’occhio (profondo) dentro il quale ci si specchia. Il teatro è il grande specchio del mondo. Non potrebbe essere che il lago e il teatro in Čechov siano la stessa cosa? Non potrebbe essere che sia la rappresentazione a spingere l’uomo verso il baratro e a impedirgli di spiccare il volo verso l’alto? Ma l’ossessione alla rappresentazione non è comunque un tentativo dell’uomo di sconfiggere la morte? Immaginarsi di essere altro da sé e dare corpo all'immaginazione, non è un modo per lasciare delle tracce nel mondo?” (Dalle note di regia di Carmelo Rifici)



Con: Fausto Russo Alesi, Antonio Ballerio, Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Zeno Gabaglio, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez Aspa, Giorgia Senesi, Anahi Traversi
Adattamento e regia: Carmelo Rifici
Scene: Margherita Palli
Costumi: Margherita Baldoni
Musiche: Zeno Gabaglio
Luci: Jean-Luc Chanonat
Produzione: LuganoInScena, 2015
Coproduzione: Teatro Sociale Bellinzona - Bellinzona Teatro, LAC Lugano Arte e Cultura e Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa

mercoledì 28 ottobre 2015

Quale governo, si domanda, è il migliore? Quello che c'insegna a governarci da soli.

Sei da sempre un allevatore di bestiame e hai due mucche nella tua stalla ma quello che succede poi dipende fortemente dalla forma di governo dello stato in cui vivi.



Feudalesimo
Hai due mucche. Il tuo signore si prende parte del latte.

Socialismo puro
Hai due mucche. Il governo le prende e le mette in una stalla insieme alle mucche di tutti gli altri. Tu devi prenderti cura di tutte le mucche, insieme con tutti gli altri. Il governo ti dà esattamente il latte di cui hai bisogno.

Socialismo burocratico
Hai due mucche. Il governo le prende e le mette in una stalla insieme alle mucche di tutti gli altri. A prendersi cura di loro è un gruppo di ex allevatori di polli.
Tu devi prenderti cura delle galline prese agli ex allevatori di polli. Il governo ti dà esattamente il latte e le uova di cui i regolamenti stabiliscono che hai bisogno.

Comunismo puro
Hai due mucche. I tuoi vicini ti aiutano a prendertene cura e tutti insieme vi dividete il latte.

Comunismo russo
Hai due mucche. Tu devi prendertene cura, ma il governo si prende tutto il latte.

Regime militare
Hai due mucche. Il governo le prende entrambe e ti arruola nell'esercito.

Dittatura
Hai due mucche. Il governo le prende entrambe e ti spara.

Fascismo
Hai due mucche. Il governo le prende entrambe, ti assume perché te ne prenda cura e ti vende il latte.

Democrazia pura
Hai due mucche. I tuoi vicini decidono chi si prende il latte.

Democrazia rappresentativa
Hai due mucche. I tuoi vicini nominano qualcuno perché decida chi si prende il latte.

Democrazia americana
Il governo promette di darti due mucche se lo voti. Dopo le elezioni, il presidente è messo sotto impeachment per aver speculato sui “futures” bovini. La stampa ribattezza lo scandalo “Cowgate”.

Democrazia inglese
Hai due mucche. Le nutri con cervello di pecora e loro impazziscono. Il governo non fa nulla.

Democrazia di Singapore
Hai due mucche. Il governo ti multa per il possesso non autorizzato di due animali da stalla in un appartamento.

Burocrazia
Hai due mucche. All'inizio il governo stabilisce come le devi nutrire e quando le puoi mungere. Poi ti paga per non mungerle. In seguito le prende entrambe, ne uccide una, munge l’altra e ne butta via il latte. Alla fine ti costringe a riempire alcuni moduli per denunciare le mucche mancanti.

Anarchia
Hai due mucche. O le vendi a un prezzo equo, oppure i tuoi vicini provano a ucciderti per prendersi le mucche.

Capitalismo
Hai due mucche. Ne vendi una e ti compri un toro.

Capitalismo di Hong Kong
Hai due mucche. Ne vendi tre alla tua società per azioni, usando le lettere di credito aperte da tuo cognato presso la banca. Poi avvii uno scambio debito azioni con un’offerta pubblica, e riesci a riprenderti tutte e quattro le mucche con uno sgravio fiscale per il mantenimento di cinque mucche. I diritti sul latte di sei mucche sono trasferiti tramite un intermediario panamense a una compagnia delle Isole Cayman di proprietà dell’azionista di maggioranza, che rivende alla tua Spa. i diritti sul latte di tutte e sette le mucche. Il bilancio annuale afferma che la società è proprietaria di otto mucche, con un’opzione sull'acquisto di un’altra. Nel frattempo tu uccidi le due mucche perché il latte è cattivo.

Ambientalismo
Hai due mucche. Il governo ti vieta sia di mungerle che di ucciderle.

Femminismo
Hai due mucche. Loro si sposano e adottano un vitellino.

Totalitarismo
Hai due mucche. Il governo le prende e nega che siano mai esistite. Il latte è messo fuori legge.

Political correctness
Sei in rapporto (il concetto di “proprietà” è simbolo di un passato fallocentrico, guerrafondaio e intollerante) con due bovini di diversa età (ma altrettanto preziosi per la società) e di genere non specificato.

Controcultura
Ehi, capo… tipo che ci stanno due mucche… Oh! Devi proprio farti un tiro di ‘sto latte!

Surrealismo
Hai due giraffe. Il governo ti costringe a prendere lezioni di fisarmonica.

Montismo
Pensavi di avere due mucche. Erano due esattori equitalia.

Non siamo mica qui a dare l'autan alle zanzare



Non siamo mica qui a pettinare le bambole...
Non siamo mica qui a mettere lo smalto ai criceti...
Non siamo mica qui a smacchiare i giaguari...
Non siamo mica qui a pettinare i bruchi...
Non siamo mica qui a spingere le tartarughe...
Non siamo mica qui ad asciugare gli scogli...
Non siamo mica qui a far disegnare i coccodrilli alle scimmie...
Non siamo mica qui a grattare la pancia ai macachi...
Non siamo mica qui a far ballare i cammelli...
Non siamo mica qui ad allattare le manguste...
Non siamo mica qui a pettinare le giraffe...
Non siamo mica qui a far abbronzare l`orso bruno...
Non siamo mica qui a far giocare gli scimpanzé...
Non siamo mica qui a far la ceretta ai procioni...
Non siamo mica qui a far ballare i trichechi...
Non siamo mica qui a far camminare le quaglie...
Non siamo mica qui a srotolare i pitoni...
Non siamo mica qui a far accoppiare i conigli con le marmotte...
Non siamo mica qui a far camminare i babbuini...
Non siamo mica qui a raccontare le favole ai trichechi...
Non siamo mica qui a far cantare le balene...
Non siamo mica qui a pettinare le quaglie...
Non siamo mica qui a far la permanente al polinano...
Non siamo mica qui per far giocare a tombola i trichechi...
Non siamo mica qui a far cantare la scimmia...
Non siamo mica qui a far disegnare i coccodrilli agli scimpanzé...
Non siamo mica qui a cercar di far accoppiare le formiche con gli elefanti...
Non siamo mica qui ad arricciare la coda ai camaleonti
Non siamo mica qui a tagliar le unghie agli ippopotami...
Non siamo mica qui a cavalcare l'orsetto lavatore...
Non siamo mica qui a far la pedicure alle balene...
Non siamo mica qui a pulire la schiena agli stercorari...
Non siamo mica qui a pettinare gli anaconda...
Non siamo mica qui ad ammaestrare i calabroni...
Non siamo mica qui a raddrizzare le banane...
Non siamo mica qui a pulirci il culo con l'ortica...
Non siamo mica qui a rasare i "pelati"...
Non siamo mica qui a passare l'aspirapolvere sulla spiaggia...
Non siamo mica qui ad allattare le manguste...
Non siamo mica qui a fare le meches ai koala...
Non siamo mica qui a svuotare il mare con un cucchiaino...
Non siamo mica qui a dar da bere alle cozze...
Non siamo mica qui a contare le gocce del mare...
Non siamo mica qui a scopare il lago...
Non siamo mica qui a mescolare i piranha con le mani...
Non siamo mica qui a sbucciare l'anguria con le mani...
Non siamo mica qui a controllare con una lente se cresce l'erba...
Non siamo mica qui a friggere le uova sode...
Non siamo mica qui a far la ceretta inguinale ai procioni...
Non siamo mica qui a pettinare i baffi ai trichechi...
Non siamo mica qui a dar lo smalto ai criceti...
Non siamo mica qui a far rotolare pitoni...
Non siamo mica qui a piallare il naso a Pinocchio…
Non siamo mica qui a cambiare gli infissi al Colosseo…
Non siamo mica qui a mettere i sandali ai millepiedi…
Non siamo mica qui ad accecare le talpe…
Non siamo qui a mungere gli ippopotami...
Non siamo qui a schiacciare i punti neri ai coccodrilli...
Non siamo mica qui a mettere i pois alle coccinelle...
Non siamo mica qui ad aprire gli occhi ai cinesi...
Non siamo mica qui a mangiare il brodo sotto la pioggia...
Non siamo mica qui a leggere al buio...
Non siamo mica qui a spianare le gobbe ai cammelli...
Non siamo mica qui a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico...
Non siamo mica qui ad affilare i pesci spada...
Non siamo mica qui a ricamare la tela di Penelope….
Non siamo mica qui a fare i buchi al groviera con il trapano...
Non siamo mica qui ad illuminare l’altra faccia della Luna...
Non siamo mica qui a rincorrere i bradipi…
Non siamo mica qui a svegliare i ghiri…
Non siamo mica qui a incrociare le parallele…
Non siamo mica qui a dar da bere ai pesci…
Non siamo mica qui a contare i fiocchi di neve…
Non siamo mica qui a consolare i salici piangenti…

martedì 27 ottobre 2015

venerdì 23 ottobre 2015

Come vedere Netflix in Canton Ticino

Aggiornamento: link al nuovo post



E' finalmente arrivato Netflix in Italia ma ancora nulla (in questa lingua) per il cantone.
Per ovviare all'interferenza si può procedere così:

a) installare sul pc VPNOneClick (ha un piano abbonamenti dal costo ridicolo)
b) selezionare Italia al primo collegamento (si potrà sempre cambiare per altri usi)
c) connettersi
d) andare su Netflix e proseguire con la richiesta di abbonamento

A questo punto, si può guardare in santa pace sul pc (ma si può fare anche da tablet o smartphone) i programmi di Netflix che siano film o serie tv.



Il software di VPN va installato su tutti i device interessati oppure bisogna acquistare un apposito router che consente l'uscita di dieci apparecchi da un unico abbonamento. 

mercoledì 21 ottobre 2015

#studiodellIRE: i discepoli erano 9 frontalieri.

Non si placano le polemiche a causa dello studio dell'IRE (link IRE e link Studiosugli effetti della Libera circolazione sul mercato del lavoro ticinese ma in compenso stanno impazzando sui social battute e fotomontaggi utilizzando l'hashtag #studiodellIRE. 
Molti ticinesi hanno dunque pensato di farsi burla della ricerca dell'Istituto ricerche economiche dell'USI che tanto sta facendo discutere. Un documento commissionato dalla SECO, tramite l'Ufficio presidenziale del Gran Consiglio, che giunge a conclusioni che hanno indignato una parte del mondo politico e della popolazione. In particolare per quanto riguarda il tema del frontalierato. Secondo la ricerca, infatti, i frontalieri verrebbero assunti non per questioni salariali ma perché con profili professionali migliori dei presidenti. E oltre a ciò, sempre secondo lo studio, l'effetto sostituzione non sarebbe provato. Ma veniamo alla satira. Di seguito vi propongo una serie di battute postate sui social:


Secondo uno #studiodellIRE la Terra è piatta.
Lo #studiodellIRE dimostra che l'Isola che non c'è...c'è!
Ultimo #studiodellIRE : "Le dimensioni non contano". Lo hanno chiesto a Rocco Siffredi.
Un sorprendente #studiodellIRE confuterebbe definitivamente che il sesso degli angeli è Bilancia...
Disoccupato trova lavoro ben pagato in Ticino perché per sbaglio ha inviato uno #studiodellIRE invece del curriculum.
#studiodellIRE scopre che "quand la merda la munta ul scagn, o la püza o la fa dann"
Uno #studiodellIRE dimostrerebbe che la terra è al centro dell universo, l'hanno chiesto alla Chiesa, avallati dall'antico testamento.
Studio dell'IRE rivela che la causa del dumping in Ticino sono gli svizzeri cafoni che accettano stipendi troppo alti.
Secondo #studiodellIRE la qualità di vita in via Odescalchi a Chiasso è migliore che in via Nassa a Lugano. Intervistati i palazzinari.
Uno #studiodellIRE dice che il diesel non inquina lo ha chiesto direttamente alla #volkswagen :-)
Uno #studiodellIRE dimostra che Regazzi ha la chioma più folta di tutta la nostra delegazione a Berna!
Uno #studiodellIRE dimostrerebbe che la terra è al centro dell'universo, lo hanno chiesto alla Chiesa, avallati dall'antico testamento.
Uno #studiodellIRE dice che il fumo fa bene. Lo hanno scoperto chiedendolo alla Marlboro
Uno studio Dell'IRE dice che stasera esco con Charlize Theron
Uno #studiodellIRE dimostra che Cicciolina è illibata
Uno #studiodellIRE dimostra che sulla A2 nel sottoceneri tra le 17 e le 19 non ci sono colonne visto la mancanza di #frontalieri
Uno #‎studiodellIRE dice che la mafia non esiste
Secondo uno #studiodellIRE i discepoli erano 9 (tutti frontalieri perché i ticinesi non si adattavano)
Affittasi piccolo #studiodellIRE, in centro Lugano. 700 euro al mese.



Fonte: Internet

Contro la stupidità non abbiamo difese.


martedì 20 ottobre 2015

Su De Luca e i NoTav: se non sapete cosa sia un grafo e cosa sia una catena di Markov, Darwin è li per voi.



Ecco come vogliono vivere i NoTav


Sconfitta del Ltf e della civiltà a causa dell'assoluzione (per non aver commesso il fatto!) di quel pericoloso comunistello - già capo del servizio d’ordine di Lotta continua a Roma fino al 1976, mica cazzi - scrittore che andò sotto processo per un comunicato così, estrapolato da un articolo (Link):

“La Tav va sabotata!” proclamava lo scrittore“...Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo.” Il riferimento era a due ragazzi fermati il giorno prima mentre trasportavano in macchina Molotov, maschere antigas, fionde, chiodi e, appunto, cesoie. Materiale, secondo gli investigatori, destinato ad azioni contro i cantiere della contestatissima linea ferroviaria ad alta velocità. E alla domanda sulla liceità di “sabotaggi e vandalismi”, De Luca rispondeva: “Sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile”. E ancora: “Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa”. Da qui la denuncia alla Procura di Torino da parte della Ltf, la società italo-francese..." 
...L'ex PM Caselli replicava a dicembre dello scorso anno: “le spregiudicate teorizzazioni secondo le quali i reati di sabotaggio contro il cantiere Tav di Chiomonte non sarebbero da condannare ma anzi giustificabili e persino encomiabili...Perché, rimarca il magistrato oggi in pensione, “tutti i reati sono da condannare”, a meno di non “piegarsi all'idea di una giustizia à la carte: con la “storia dei compagni che sbagliano abbiamo già dato negli anni Settanta”.

Insomma, a questo punto mi sembra chiaro che se sei sufficientemente "intellettuale" (le regole sono sempre quelle checché ne dicano) puoi dire il cazzo che vuoi che tanto non succede nulla; devi anche avere i giudici dalla tua parte, è vero, quindi prendi la tessera di una qualunque frangia sinistrorsa, mi raccomando. E nel casi specifico, c'è da chiedersi come faccia uno scrittore - che giocava alla lotta armata - a intendersene di treni ad alta velocità.

Un progetto come quello della TAV si chiama "ottimizzazione del mercato” anche quando, al posto di parlare di questioni economiche, si parla di questioni sociali. Alla base di questo concetto è che più è alta la mobilità, più è probabile che un qualsiasi soggetto possa, almeno in teoria, trovare la collocazione migliore. In questo modo la TAV non è solo un pezzo di ferrovia: è semplicemente una tratta di un grafo, la cui complessità può essere vista come semplificare o abbreviare gli spostamenti utili a migliorare le attività economiche.
La domanda però è la seguente: in una società ove il posto si trova spostandosi e dove la possibilità di spostarsi è un fattore di ottimizzazione, come si trova chi non ha posto in quella società? Male, anzi malissimo perché non ha studiato che la costruzione di vie di comunicazione rapide, storicamente, porta sempre ricchezza. Lo ripeto: sempre ricchezza. 
Quelli che vedete in piazza sono coloro che in una società moderna, in una società ove il miglioramento si basa sul movimento, non hanno speranze. Il loro sogno è una società senza movimenti ove sia le merci sia le persone sono radicate sul posto. Ma questo sogno sta andando in pezzi: ricordate? La tecnologia avanza e con essa l'evoluzione dell'uomo. 
La TAV è un simbolo: loro non troveranno posto nel futuro che sta avanzando. Non sto dicendo che sia migliore o peggiore, lo vedremo. Ma è un fatto che questo futuro sta arrivando. Presto gli abitanti delle città "inTAV" avranno ancora più possibilità di trovare una soluzione migliorativa e con tutti i percorsi ferroviari del continente europeo futuri, la generazione dei nostri figli potrà leggere annunci di lavoro in città che oggi noi chiamiamo “straniere”; potranno cioè essere dei pendolari su distanze che un tempo erano proprie degli immigrati.
La TAV, cioè,  non è solo una ferrovia. Per alcuni ambienti, dai centri sociali a certe sacche di società sempre da quel lato della barricata, è la campana che suona a morto. E sanno bene che la campana sta suonando per loro. Sanno bene che in un’Europa connessa da ferrovie e reti digitali, tutti troveranno le opportunità che cercano, tranne loro (A DeLuca non importa nulla: forse solo alla rive gauche potrebbe trovare asilo e comprensione).

Qualunque cosa sia la TAV, anche semplicemente un treno, rimane il fatto che la loro sfiga è quel treno è quello che hanno perso. Sic et simpliciter.

Ogni volta che si fa un passo in avanti tutti quelli che dicono no-tutto, come appunto i NoTav, rimangono un passo indietro. E questo rimanere indietro li isola sempre di più, toglie loro opportunità e li relega nell'irrilevanza e nella marginalità. Presto saranno solo un branco di barboni che bivaccano nei ruderi che oggi chiamano “centri sociali occupati”, ammesso che non lo siano già. 
Ogni volta che il mondo fa un passo avanti, che cambia stato, che cambia forma - e questo succede da sempre - questi signori rimangono un passo indietro. Ogni volta che rimangono un passo indietro, c’è un posto ove non possono più entrare, un lavoro che non possono più fare, un pezzo di reddito che non possono più avere.
Questo qualcuno protesta perché sa e perché sente che sta rimanendo indietro. Chi combatte contro treni, energia, strade, internet sta combattendo contro il treno che ha perso. Lo sta odiando perché è partito mentre lui è rimasto lì.

Guardatevi bene da i NoTav o i NoTutto: sono i barboni di domani.



sabato 17 ottobre 2015

I sysadmin non sono asociali: sono semplicemente selettivi nella scelta degli amici.




Sono nato bianco, il che fa di me un razzista.
Non voto a sinistra, il che fa di me un fascista.
Sono eterosessuale, il che fa di me un omofobo.
Non sono sindacalizzato, il che fa di me un traditore della classe operaia e un alleato del padronato.
Sono di religione cristiana, il che fa di me un cane infedele.
Rifletto, senza prendere per buono tutto ciò che mi dice la stampa, il che fa di me un reazionario.
Tengo alla mia identità e alla mia cultura, il che fa di me uno xenofobo.
Vorrei vivere in sicurezza e vedere i delinquenti in galera, il che fa di me un agente della Gestapo.
Penso che ognuno debba essere ricompensato secondo i suoi meriti, il che fa di me un antisociale.
Ritengo che la difesa di un Paese sia compito di tutti i cittadini, il che fa di me un militarista.
Amo l’impegno e lo sforzo di superare se stessi, il che fa di me un ritardato sociale.

Al che, ringrazio tutti i miei amici che hanno ancora il coraggio di frequentarmi, nonostante tutti questi difetti.




Fonte: facebook e non ricordo più dove ma si adattava perfettamente a me.

giovedì 15 ottobre 2015

Consumatori arrabbiati: "Lavoriamo gratuitamente"

Molto lavoro è ormai delegato ai clienti, cose che prima facevano i dipendenti. Le associazioni dei consumatori criticano questo trend





Titola così un articolo su TIO di qualche giorno addietro. Siamo alle solite: si continua a far finta che il mondo non evolva (è sempre la tecnologia che consente l'evoluzione trascinando il resto: che sia culturale, economico o altro) perché si ha sempre paura del nuovo e quindi meglio restare dove si è. E' un peccato che si la pensi in questa maniera "barbara" perché non si fa altro che mantenere in vita lavori morti.

Si tratta di un fenomeno a cui dovremo abituarci, quello del crescere della disoccupazione di fronte alla fine dei lavori facili. Spiego cosa è un lavoro facile.
Sono una delle illusioni che il genere umano ha coltivato con forza maggiore. Quando qualcuno non sa fare un lavoro complesso perché essenzialmente non ha voluto impegnarsi e prepararsi, generalmente opta per un lavoro che - a torto o a ragione - considera “facile”.
Si tratta di fenomeni che avvengono a ogni livello: quando studiavo ricordo gente che prendeva lauree inutili, tipo “scienze politiche a indirizzo archeologico” (magari oggi non esiste più ma vi assicuro che c’era), allo scopo di “insegnare”. Chiunque non sappia fare lavori misurabili in termini di prodotto in genere ripiega verso un lavoro che crede essere abbastanza facile da poter essere fatto senza particolare impegno. Esistono lavori che non sono misurabili, è vero, ma sono svolti da persone che hanno idee e sanno realizzarle: Mozart e Madre Teresa di Calcutta sono i primi nomi che mi vengono in mente.
Negli ultimi trent'anni anni, risolto il problema di moltissime assunzioni pubbliche col blocco dei concorsi, in tanti si sono trovati senza lo “sbocco naturale” per persone pigre. E che cosa hanno fatto? Hanno scelto essenzialmente le strade che consideravano “facili”.

Aprire un negozio in franchising o una tabaccheria. Nella convinzione che basta salutare il cliente, dargli quel che vuole e prendere i soldi.
Aprire un’edicola. Nella convinzione che basta salutare, dare il giornale e il gioco era fatto.
Aprire un distributore di benzina. Nella convinzione che basta salutare, caricare il serbatoio di benzina e prendere i soldi.
Aprire un XYZ. Nella convinzione che basta salutare qualcuno, dire alcune cose, prendere i soldi ed è finita lì.
Tutti questi lavori naturalmente non richiedono alcuna particolare abilità, se non il dispendio di tempo, almeno nel modo in cui vengono concepiti da chi li cerca. Bisognerebbe poi capire se e quanto tali lavori siano effettivamente facili, a seconda di come li si faccia ma io parlo in generale.

Ovviamente tutti i settori o quasi sono stati automatizzati ma questo non ha spaventato molto tali personaggi. Nel senso che fuori dalla tabaccheria vedete il distributore automatico di sigarette, nei distributori di benzina la notte trovate il self service, fuori dalle edicole a volte trovate distributori di fumetti automatici.

Tuttavia, sinora questo andazzo era supportato dalla formula giorno–>persona, notte–>automatico.

Il guaio è che le cose stanno cambiando e laddove basta dire buongiorno al cliente e incassare i soldi stanno arrivando i sistemi automatici.
Il risultato è che le edicole stanno per essere stritolate dai tablet (sì, c’è anche il fatto che acquistare un giornale già “vecchio” al mattino è abbastanza inutile). Moltissimi negozietti stanno per essere stritolati, se già non lo sono, dall’e-commerce perché scaricare le tre canzoni che mi piacciono è meglio che dover comprare tre CD; le cassiere vengono sostituite dalla casse automatiche e i benzinai stanno per essere schiacciati, se già non lo sono, dai self service che loro stessi avevano installato.
Il punto è che l’automatizzazione farà scomparire i cosiddetti “lavori facili” e anche alcuni di quelli che, sebbene fossero facili, erano almeno faticosi consentendo di ripulire la coscienza di chi li faceva. Un esempio è quello del “magazziniere”. Un tempo era un tizio con una buona predisposizione al lavoro fisico e una buona memoria, nonché una certa capacità organizzativa. Ma un magazzino moderno è una cosa diversa. È quasi completamente automatizzato e gli scaffali non vengono più toccati dall'uomo. La disposizione delle merci è decisa da un calcolatore. Praticamente ogni cosa è fatta con il computer, col risultato che il magazziniere sta diventando un tecnico della qualità che svolge il compito di ultimo checkpoint per il prodotto stesso.
Questo significa però che da un lato occorre un magazziniere con una formazione molto più agile e specializzata ma dall'altro lato coloro che speravano in un lavoro “faticoso ma facile” non hanno più speranza: adesso è molto meno faticoso ma molto più difficile. I benzinai sono solo un anello della catena che porta al cimitero tutta una serie di lavori che molti vorrebbero fare ma nessuno fa più perché sono arrivate le macchine.
Così i distributori automatici elimineranno il classico benzinaio a meno che non abbia anche il negozio con il bar, il ristorante, il meccanico, il minisupermercato e in questi casi difficilmente vedrete il vecchio signore che armeggia lui con pistola e tubo della benzina. Non ci vedo nulla di strano: se posso far benzina da solo la notte, non si capisce perché non dovrei saperlo fare durante il giorno.
Così una cassiera viene sostituita dalle casse automatiche dove, fra non molto, non servirà neanche più il lettore di codici in quanto basterà il chip in ogni prodotto acquistato per passare alla cassa automatica che calcolerà il totale: non resterà che pagare, uscire col carrello e fine dei giochi. In generale, quello che stiamo vivendo è un cambiamento epocale nel concetto di lavoro. Il punto è che scompare il lavoro ‘facile”, sia quando è intellettualmente facile, sia quando è intellettualmente poco faticoso.

Anche se alla sinistra e ai sindacati in generale non piace, il lavoro facile, cioè quello che per farlo non occorre essere tanto preparati, si appresta a finire. Cassiere, tabaccai, negozianti senza valore aggiunto, agenti immobiliari, rappresentanti da negozio, magazzinieri, sono tutti lavori che vanno a morire. E vanno a morire perché tutti saprebbero farli e quindi prima arriva l’immigrato che li fa a meno e poi arriva la macchina che lo fa ad ancora meno.
E non mi riferisco soltanto a questi. Prima o poi finirà anche il lavoro del commercialista e di quelli che fanno buste e paghe. In moltissimi paesi non esistono neanche questi lavori e, facendo l'esempio di dove vivo, solo le grandissime aziende utilizzano una specie di commercialista che però nulla ha a vedere con quello italico.

Quando avevo l’azienda informatica pagavo il commercialista perché immettesse i valori delle mie fatture dentro un programma. Peraltro io ero tra i rivenditori di quel programma, visto che per farci assistenza occorreva anche venderlo. Quindi avrei potuto avere gratis il programma - l’avevo - e inserire i valori da me. Che genere di lavoro stava facendo il commercialista? Nessuno. Di per sé si occupa di inserire dati. Sicuramente il sistema fiscale è ormai una scienza occulta e quindi necessita dei suoi sacerdoti, da cui il sacerdote supremo che ti fa la contabilità: ma il punto è proprio che, una volta semplificato il fisco, anche quel lavoro sarebbe sostituibile. Qui in Svizzera praticamente tutti si fanno la dichiarazione d’imposta da soli grazie al fatto che il fisco è semplice da capire e gestire.
Infatti è concepibile il lavoro dei contabili dentro le grandi aziende (come detto sopra): un buon controllo di gestione e un buon auditing possono migliorare la performance aziendale e di molto. Ma non ricordo di aver mai ricevuto preziosi consigli dalla “scienza” del mio commercialista. Così, è ovvio che il commercialista lavora laddove il semplice ragioniere non può mettere la propria firma; essenzialmente basterebbe che da domani si decidesse che sotto una certa cifra i ragionieri possono agire da commercialisti e avremmo abbassato di molto il target.
In generale sono moltissimi i lavori che sono sopravvissuti solo perché la tecnologia non è ancora arrivata ad occuparsi di loro; e in generale sono moltissimi quelli che sono ancora in vita solo perché non si applica correttamente la tecnologia migliore.
Se improvvisamente le aziende si dotassero tutte delle tecnologie migliori, potrebbero licenziare i tre quarti del personale e lo stesso dicasi per lo stato.
Così, occorre fare un passo indietro: tutta questa inefficienza quanto costa?
Complicare il sistema fiscale per metterci il commercialista obbligatorio è una cosa che magari può dar dei posti di lavoro; sarebbe la stessa cosa se pagassimo qualcuno per prendere dei secchi d’acqua dal mare e versarli sulla spiaggia qualche decina di metri dopo il bagnasciuga. Avremmo creato dei posti di lavoro vero ma per cosa?
Se iniziamo a capire che tutti questi stipendi sono essenzialmente delle inefficienze del sistema economico, possiamo capire un’altra cosa: la piramide delle “competenze” fa acqua da tutte le parti.
Il ceto medio in generale non è scomparso né è stato cancellato. Semplicemente ha scelto di declassarsi quando gli era richiesta una maggiore competenza, e invece ha abbandonato la sfida per cercare qualcosa di meno impegnativo. Senza chiedersi se fosse davvero possibile. La verità è che a un certo punto in tantissimi hanno detto “apro un negozio” e ci si sono tuffati, riempiendo le città di negozi tutti uguali e tutti quasi inutili proprio perché tutti uguali. In tantissimi hanno detto “prendo un titolo di studio e faccio un concorso”. Questi tantissimi hanno detto “male che vada faccio la cassiera”, “male che vada un lavoro da magazziniere lo troverò”, “male che vada faccio l’operaio”.

Ma anche persone che prima appartenevano al ceto medio hanno fatto la stessa scelta. Commercialisti che si sono detti “ehi, ma se bado a cento negozietti mi annoierò anche ma incasso di più”. E avvocati che hanno detto “ehi, ma le liti da condominio non saranno roba da principi del foro ma ci girano i quattrini”.
Nessuno ha più spinto verso il meglio: tutti hanno deciso di fare un passo indietro e cercare la vita tranquilla nella nicchia sonnolenta. Risultato: non appena la tecnologia delle vending machine diventa affidabile, saltano i benzinai, saltano le commesse, saltano i lavori inutili. La piramide delle competenze lavorative rende impossibile che i paesi così conciati tornino a essere paesi con un buon livello di occupazione perché non c’è forza lavoro preparata. Attualmente la disoccupazione non aumenta perché siete obbligati ad andare dal commercialista quando magari avete almeno un parente disoccupato in famiglia che potrebbe farvi il bilancio; vi obbligano ad andare dal notaio per stronzate che un dipendente del comune potrebbe fare e tengono le farmacie come negozi quando sarebbero il caso perfetto di vending machine. Parliamo di taxi (siamo oltre Uber): guardate questo prodotto: www.drive-now.com

Quando prendete una tessera vi danno un RFID. Con questo RFID potete accedere a qualsiasi automobile dell’azienda che sia parcheggiata nei dintorni. Potete parcheggiarla e lasciarla libera o tenerla a disposizione pagando un extra. La mappa per raggiungere il posto che vi interessa la trovate sul vostro cellulare. La benzina la fate con una tessera che si trova sull’auto e controlla che l’auto abbia effettivamente il serbatoio pieno. Hanno riempito Düsseldorf di macchine di questo tipo, è una specie di car sharing molto sofisticato. Non potete portarla fuori città perché ha una Sim nella testata, appena vi allontanate troppo prima l’auto vi avvisa, poi arriva un SMS che la spegne e blocca il motore. Il risultato è che il sistema taxi è superato. Perché in fondo il tassista guida un’auto. Ma anche voi sapete guidare. Cosa fa quindi di così speciale il tassista? Vi affitta la sua auto e il suo servizio. Adesso se non vi interessa il servizio potete affittare solo l’auto e anche più facilmente. Presto non sarà più possibile costringervi a pagare un servizio che potreste anche fare da soli o una cosa che la macchina può fare.
Il barista vi prepara il caffè azionando una o due leve di una macchina: esistono già vending machine capaci di farlo. Un bar del futuro potrebbe non avere il bancone e essere semplicemente una stanza coi tavoli, le poltrone, una fila di distributori automatici e una persona a controllare la situazione. Per un bar che oggi magari impiega quattro o cinque dipendenti (sì, ok voi ci tenete a Mario il barista sotto casa vostra. Ma appena il caffè costerà un poco meno nel bar automatico, andrete dal Sig. Siemens come già fate con il Sig. Nespresso). Molti si sono crogiolati nell’idea che “tanto non arriverà mai”, “tanto questa è fantascienza”. Eppure oggi i benzinai rischiano di chiudere perché i gestori vogliono distributori sempre più automatici. E’ solo questione di tempo e poi andrete in farmacia con una ricetta, la infilerete dentro una fessura e le medicine usciranno da una apposita scansia. Niente farmacisti. È solo questione di tempo e poi il governo vi metterà online un programma di contabilità ove voi inserirete le fatture e alla parte fiscale ci penserà lui. Sembra fantascienza vero?
Anni fa avreste detto che era fantascienza andare a comprare il biglietto del treno da una macchina e non allo uno sportello. Si pensava che una volta assunti come bigliettai nelle FS non ci fosse nulla che poteva davvero sostituirvi. Oggi, in qualsiasi ferrovia comprate biglietti da macchine automatiche e i bigliettai sono quasi totalmente scomparsi. Anni fa era fantascienza il GPS. Anni fa erano fantascienza tante cose. Che oggi sono realtà.


Quindi, il punto è: preparatevi a vivere in questo mondo. Avere a che fare con macchine. A ripararle. A costruirle. A installarle. A programmarle. E questo per una ragione molto semplice: per tutti gli altri, ci saranno solo lavori ad alta specializzazione, oppure la fame.

martedì 13 ottobre 2015

Teatro sociale di Bellinzona - Chi è di scena



Orlando pazzo per amore

di Ludovico Ariosto

Orlando pazzo per amore
Con: Stella Addario, Antonella Carone, Roberto De Chirico, Francesco Casareale, Patrizia Labianca, Loris Leoci, Antonio Marzolla, Dino Parrotta, Domenico Piscopo, Antonella Ruggiero
Adattamento e regia: Flavio Albanese e Marinella Anaclerio
Scena: Marta Marrone
Costumi: Marta Genovese
Disegno luci: Beppe Filipponio
Movimenti di scena: Alberto Bellandi
Arrangiamenti musicali: Roberto Re Davide
Preparazione vocale: Ida Decenvirale
Realizzazione scena: Deni Bianco
Produzione: Compagnia del Sole, 2013




Orlando è un innamorato “esagerato” e come tutti gli esagerati, ovvero coloro che nelle loro reazioni vanno“oltre” ciò che buon senso prescrive , si presta alla tragedia ed alla commedia insieme. Tra le svariate note che contraddistinguono il poema dell’Ariosto abbiamo prediletto l’iperbole , tanto cara anche ai grandi comici dell’Arte. Dal nostro incontro con questa Poetica Follia, ne è nata una Tragicommedia popolare in maschera. Coi ritmi ed i modi della commedia all'improvviso, quasi un varietà, il Capocomico/Astolfo, guida il pubblico attraverso gli inseguimenti e le disavventure amorose che i paladini Orlando e Bradamante affrontano in preda alla passione amorosa. Lui per la principessa cinese Angelica e lei per il saracino Ruggiero. Dovrebbero essere vicini a Re Carlo assediato da Agramante re dei Mori ma dimentichi del loro principale dovere, disertano e fuggono dal campo di battaglia alla ricerca dei loro amati in fuga. A Agramante non va meglio, perché anche tra i suoi Saracini l’amore e la vanità serpeggiano allontanando dal fronte i suoi migliori campioni.



“O gran bontade dei cavalieri antiqui rivali siam siamo di fé diversi eppur per selve oscure e calli obliqui insieme andiam senza sospetto aversi a seguitare Angelica che fugge!”

Così recitano Ferraù e Rinaldo quando in groppa ad un unico cavallo partono all'inseguimento di Angelica dopo aver duellato per averla. Un grandioso e precoce esempio di Melting-pot! Di quadro in quadro, tra un madrigale di Monteverdi ed un pezzo dei Beatles suonati da una curiosa band di Zanni che si alternano vorticosi, seguiamo i capitani nell'inseguire e nel languire d’amore, nel rimproverarsi per la loro debolezza e nel lasciarsi andare alla grande illusione della passione, nel perdersi nella follia e nel ritrovarsi…Dalla periferia di Parigi ai Pirenei, da Zibelterra alle coste dell’Africa, dal Catai alla Luna! Il tutto in una scatola di porte girevoli dalle quali appaiono e scompaiono Servi, Capitani, Vecchi pastori ed Amorini pronti a commentare rimproverare o consolare con una canzone una poesia o uno sberleffo come in un iperbolico varietà. Pop e sfacciato.

Del testo.
Il Poema ariostesco è un enorme raccolta di storie d’amore e guerra, di viaggi e di magie. Forte è l’eco dell’Eneide, sulla quale abbiamo lavorato in passato. Un vero labirinto di storie dove ci si può tracciare un percorso assolutamente autonomo. Scegliendo di seguire l’intreccio di Orlando e Bradamante, abbiamo focalizzato il tema dell’illusione come lettura drammaturgica, mettendo al centro del lavoro il Palazzo delle illusioni costruito dal mago Atlante per rinchiudervi con Ruggero, tutti i campioni di ambo le parti, prigionieri dell’oggetto ambito: donna uomo cavallo o spada mitica che sia. Astolfo così diventa il prescelto da Dei e Maghi per aiutare gli esseri che incontra a liberarsi delle illusioni e dunque dall'incantesimo. Il lavoro principale è stato di portare in prima persona il testo, o tradurlo nel dialetto di alcune maschere come Pantalone o Angelica “la cinese”. Considerato il tema non abbiamo resistito a citare alcuni passaggi de “La grande Magia“ di Eduardo, dove il gioco dell’illusione è centrale come quello del Teatro. I personaggi, lungi dalla psicologia e dal sentimentalismo, sono pura azione e la passione amorosa e lo spirito di lealtà verso le leggi della cavalleria ne sono il carburante. Orlando è l’innamorato per eccellenza: quando ama il Re fa giuramento di non toccar donna per esser solo “suo” nella difesa del regno e della cristianità. Quando s’innamora di Angelica si ripromette o lei o Morte e abbandona il re in difficoltà, per inseguirla. Quando la scopre innamorata di un altro impazzisce spogliandosi letteralmente oltre che dell’armatura e dei suoi panni da se medesimo…La ridicolizzazione che fa Ariosto dell’esaltazione del paladino del ciclo carolingio è evidente. Quale repertorio migliore per uno spettacolo di Commedia? Dove le maschere condividono identica struttura meccanica e surreale? Le sfumature son date dalla meravigliosa lingua del poeta, capace si piegarsi e inventarsi continuamente soluzioni per restare nel canto.