giovedì 24 ottobre 2013

Repetita iuvant.



Ho cancellato due interventi nei commenti - ma non ho bannato gli utenti, almeno per ora - perché questo è il mio blog e nel mio blog io comando, regno, impero, decido. Sono l'unico dittatore. Quindi le regole le impongo io.

Punto uno.
Questo è un posto dove lo spazio per scrivere non manca. Non ci sono i limiti di Twitter (140 caratteri) o degli SMS (160 ma si possono mandare più messaggi contigui). Quindi qui si deve scrivere in italiano, in inglese, in francese o anche in lingue morte come il sanscrito, a patto di saperlo (se poi vi banno però non lamentatevi).
Scrivete anche in un italiano poco formale e magari neanche forbito ma scrivete come si comanda. Non tollero e non accetto:

  1. Le K al posto delle C (con perkè vi banno a prescindere) 
  2. Le X al posto del PER (con XKè cerco anche di internarvi)
  3. Tutte le forme abbreviative che non siano acronimi riconosciuti da me (cmq per comunque e le vostre rotule sono a rischio)

Punto due.

Questo è un posto dove lo spazio per scrivere non manca. Non ci sono i limiti di Twitter (140 caratteri) o degli SMS (160 ma si possono mandare più messaggi contigui). Quindi qui si deve scrivere in italiano, in inglese, in francese o anche in lingue morte come il sanscrito, a patto di saperlo (se poi vi banno però non lamentatevi).
Scrivete anche in un italiano poco formale e magari neanche forbito ma scrivete come si comanda. Non tollero e non accetto:
  1. Lo scrivere in maiuscolo. Per altro è (nel mondo informatico) il sinonimo di urlare: io già non tollero che si urli nella vita normale, figuriamoci se lo accetto in quella virtuale.
  2. Poi siete anche dei farlocchi ignoranti: scrivete in maiuscolo e non sapete mettere le lettere accentate maiuscole! Doppio ban anche per la prossima vostra esistenza (sempre che Darwin non vi becchi prima).

Punto tre.
E' inutile che cerchiate di dimostrare che voi e solo voi avete ragione perché voi e solo voi siete i portatori sani di qualcosa: se esprimete opinioni quelle sono come le balle. Ognuno ha le sue.
Se invece esprimete fatti allora sarà meglio che li possiate suffragare: altrimenti sono opinioni e vale quanto sopra.

Come si suol dire: a buon intenditor...

    martedì 22 ottobre 2013

    Il mercante di Venezia

    Quando, mesi or sono, si parlava con alcune persone di andare a vivere in montagna, fra le varie domande posteci -  per la serie "sono geloso del fatto che te ne vai e allora ti trovo mille motivi per farti sentire infelice" - c'era quella "Ma se una sera vuoi andare a teatro come fai?" Ora io avrei risposto "Con la macchina?" e mi sarei anche trattenuto, ma la mia signora è decisamente più diplomatica e ha usato più parole per esprimere lo stesso concetto. In ogni caso a teatro ci andiamo comunque. A Bellinzona, il teatro sociale ha una stagione ricca di commedie, tragedie, monologhi e altre forme varie di spettacolo. Per stare sul sicuro abbiamo scelto la serie Chi è di scena, formata da sette spettacoli sino a Aprile e che sono:


    Il mercante di Venezia
    Il teatrante
    Alice Underground
    Gl'innamorati
    L'importanza di chiamarsi Ernesto
    Variazioni enigmatiche
    L'attesa.

    Vi presento Il Mercante di Venezia che verrà rappresentato domani, 23 Ottobre al Teatro Sociale di Bellinzona.

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    Il Mercante di Venezia




    Il mercante di Venezia (The Merchant of Venice) è un'opera teatrale di William Shakespeare, scritta probabilmente tra il 1596 e il 1597.
    La trama dell'opera riprende abbondantemente quella di una novella trecentesca di ser Giovanni Fiorentino, detta Il Giannetto, prima novella della giornata quarta della raccolta di cinquanta detta Il Pecorone, che Shakespeare ebbe modo di conoscere nella traduzione di William Painter. In particolare del Giannetto vengono conservati, pressoché intatti, i personaggi corrispondenti a Bassanio, Shylock e Porzia, oltre che la vicenda della penale di una libbra di carne. Si tratta di una dark comedy.

    Venezia, XVI secolo. Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiare degnamente Porzia, chiede al suo carissimo amico Antonio 3.000 ducati in prestito. Antonio, pur amando Bassanio, non può prestargli il denaro, poiché ha interamente investito nei traffici marittimi. Tuttavia garantirà per lui presso Shylock, ricco usuraio ebreo. Shylock è disprezzato dai cristiani e a sua volta li disprezza. Soprattutto non sopporta Antonio, il mercante di Venezia, che presta denaro gratuitamente, facendo abbassare il tasso d'interesse nella città, e che lo umilia pubblicamente con pesanti insulti.
    Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio, con Antonio come garante. L'ebreo però, in caso di mancato pagamento, vuole una libbra della carne di Antonio. Bassanio cerca di far desistere Antonio dal fargli da garante, ma lui è sicuro di poter saldare il debito, dato che tre navi sono in viaggio per riportare a Venezia ricchezze tre volte più grandi. Il tempo concesso per il saldo del prestito è di tre mesi, mentre le navi arriveranno tra due. Bassanio si reca a Belmonte; i pretendenti di Porzia però, secondo la volontà del suo defunto padre, per ottenere la sua mano devono scegliere, fra tre scrigni contrassegnati da un indovinello, quello giusto. Bassanio, scegliendo il più modesto, ci riesce e sposa Porzia, già precedentemente innamorata di lui. Invece l'amico di Bassanio, Graziano, sposa la serva di Porzia, Nerissa.
    Intanto la sfortuna si accanisce su Shylock: sua figlia Jessica infatti, aiutata da Lancilotto, fugge di casa sposando un cristiano di nome Lorenzo, amico di Antonio e Bassanio. La ragazza è fuggita portando con sé 2.000 ducati e soprattutto lo scrigno contenente l’anello donato a Shylock dalla defunta moglie. L'unica consolazione di Shylock deriva dalla pari sfortuna di Antonio: infatti le sue tre navi sono disperse in mare cosicché non potrà saldare il debito. Nel frattempo Porzia e Nerissa donano ai rispettivi mariti un anello, segno del loro amore, facendo promettere loro di non separarsene mai finché l'amore li legherà alle loro consorti.
    Shylock porta Antonio di fronte al Doge e alla corte e chiede di far valere i suoi diritti. Nonostante la crudeltà della proposta, il Doge non può rifiutare di applicare la legge perché il caso creerebbe un precedente dannoso per lo stato. Bassanio e Graziano partono immediatamente in aiuto di Antonio. Porzia, all'insaputa di tutti, si traveste da avvocato per salvare Antonio. Nerissa la segue vestendosi da scrivano ed a custodia della casa vengono lasciati Lorenzo e Jessica.
    Una volta giunta in tribunale, Porzia, sotto le spoglie dell'avvocato Baldassarre consulente del Doge, invita Shylock ad accettare 6000 ducati offerti a lui da Bassanio, ormai ricco per avere sposato Porzia, al fine di estinguere il debito dell'amico ed essere misericordioso. L'odio dell'usuraio per i cristiani, fomentato dall'abbandono della figlia, gli impedisce di desistere. Shylock, anzi, chiede a gran voce che gli sia pagato il debito con la libbra di carne di Antonio, come da accordo. Baldassarre finge di essere d’accordo con lui su tale diritto, citando l’Editto degli Stranieri, ma gli comunica che, dato che il contratto parla solo di carne, se avesse versato anche una sola goccia di sangue i suoi beni sarebbero stati divisi tra Antonio e lo stato e lui condannato a morte. Il Doge gli concede in grazia la vita ed Antonio rinuncia alla sua parte purché venga ceduta alla morte alla figlia Jessica e Shylock si converta al cristianesimo, pena assai più grave per l'usuraio. In queste condizioni Shylock, sconfitto, rinuncia ai suoi propositi.
    Bassanio si complimenta con Baldassarre per aver salvato il suo amico e gli chiede un modo per ringraziarlo. L'avvocato gli chiede solo il suo anello. Bassanio esita, a causa del valore affettivo dell'anello, ma spinto dall'onore e dalla gratitudine finisce per cederlo. Lo stesso è obbligato a fare Graziano per lo scrivano.
    Quando tutti i cristiani giungono a Belmonte, Porzia e Nerissa chiedono ai mariti gli anelli, ma entrambi spiegano l'accaduto. Quindi le due donne fanno credere di aver trascorso una notte con i nuovi possessori dell’anello per riaverli, prima di rivelar loro che l’avvocato e il suo assistente erano in realtà esse stesse. Antonio fa di nuovo da garante per Bassanio che giura di non separarsi mai più dall’anello. Successivamente Nerissa riferirà a Lorenzo che i beni di Shylock saranno suoi e di Jessica dopo la morte dell'ebreo. Nel frattempo si viene a sapere che le tre navi di Antonio sono tornate sane e salve in porto.



    Note di regia: di Valerio Binasco


    Tutto gira intorno a un gruppo di amici.
    Gli eroi di questa storia non sono degli eroi. Stanno in seconda e terza fila nella vita. La guardano dal tavolino di un bar. In apparenza sono dei ricchi sfaccendati che si divertono molto ad essere ricchi e sfaccendati, ben identificati col loro ‘clan’ che è composto solo da ricchi e sfaccendati.
    Ma è solo apparenza. A ben vedere hanno delle inquietudini. Delle malinconie. Hanno dentro una spinta che li porta al gesto rischioso, all'avventura.  Il fatto che siano sempre avventure condivise con gli amici fa di loro degli eroi un po’ paesani, creatori di aneddoti più che di leggende. La legge della loro vita è fare della vita un gioco fatuo. Nel momento in cui tale legge è condivisa, diventa identificante. Al punto da perseguitare chi è diverso, come per es. Shylock, che con tutta la sua serietà antica sembra minacciare una società di fatui giocatori.

    Detto così sembra semplice, eppure è tutto così inafferrabile , nel Mercante, così assurdo che si rischia di cedere alla tentazione di raccontarlo pesantemente, come una cupa contro favola  Cosa sono le contro favole  Sono storie che sembran favole, ma fan sorridere solo gli adulti, che sorridono perché han perso ogni speranza. Si sentono maestri della disperazione e dell’insensatezza. Noi non dobbiamo cedere a questa tentazione. Noi dobbiamo sforzarci di fare di questo Mercante una storia che possa essere capita e apprezzata anche dai bambini. Anzi: noi dobbiamo fare del mercante una grande favola, e una festa del teatro. Cioè della speranza.

    A ben vedere le note del regista potrebbero limitarsi a questa intenzione.
    Visto però che parliamo di adulti, veniamo al punto più serio della faccenda: si è parlato (e si è taciuto) molto dell’antisemitismo di questo testo. Arnold Wesker ha scritto parole piene di furia e di saggezza per sconsigliare chiunque dal mettere in scena il Mercante. Ho riflettuto a lungo sul suo scritto. Poi sono giunto a queste conclusioni:

    Per quel che mi riguarda, è una storia sulla persecuzione della diversità.

    Mi trovo dunque completamente d’accordo con Auden quando dice: “Nel mercante di Venezia le differenze religiose sono tratteggiate in modo fatuo: non è un problema di fede, ma di conformismo. L’essenziale, riguardo a Shylock, non è che un eretico o un ebreo, ma che è un outsider”.
    Outsider, qui, vuol dire qualcosa di più di diverso. Vuol dire proprio straniero. Estraneo.
    L’unico aspetto religioso presente nell'opera  secondo me, non riguarda i rapporti dell’individuo con l’aldilà, ma con l’aldiqua. Mi pare che l’Antico Testamento ispiri un modo antico di approcciare la vita. È solo questione di stile. Shylock ha uno stile antico. Ha uno stile ‘serio’, da antico testamento, appunto. I veneziani invece sono troppo frivoli; e Shylock è troppo serio. Ed è un outsider perché è l’unico personaggio serio del Mercante.

    È una divertentissima commedia. Tuttavia, appena ci si imbatte nel Mercante di Venezia si prova – oltre alla gioia di leggerlo – anche un certo cupo disagio. La nostra immaginazione si affatica a trovare un filo coerente e rassicurante, e ci scopriamo a cercare di dare un’identità plausibile e credibile a quegli strani personaggi che stiamo incontrando. Cerchiamo di identificarci con qualcuno. Ma, devo essere sincero, con scarso successo. Il filo narrativo resta assai poco rassicurante, e i personaggi non smettono di inquietarci e di rimanere estranei. E tuttavia sentiamo che abbiamo a che fare con una grande opera, pena di vita . Decidere di portare in scena Il Mercante vuol dire decidere di fidarsi di quel vago e oscuro sentire, e seguirlo. Dove ci porterà, andremo. Il testo ci appare semplice e schematico come un’antica favola. Dovremo inoltrarci nelle molte zone oscure (le antiche favole sono luminose e oscure insieme) che risultano assai più chiare per il nostro istinto che non per la nostra capacità di comprendere. Nelle antiche favole tutto è ugualmente creato con il buio dell’inconscio simbolico, e con la luce delle cose e dei fatti reali. Le antiche favole sono di terra e di fuoco. Inoltre, nonostante tutto, le antiche favole sembrano tracciare una strada attraverso l’impossibile. Per noi uomini contemporanei le antiche favole sono una mappa celeste per trovare, ogni tanto, qualche stella nel buio dell’assurdo vivere. Ma, in questo senso, il Mercante sembra che ci spinga altrove. Verso uno strano buio collettivo. Pur essendo in tutto e per tutto un’antica favola, non sembra tracciare alcuna strada. Il disagio che sentiamo forse è proprio questo: sentiamo che veniamo attratti dentro lo splendore di una favola arcaica piena di vibrazioni oniriche e di significati, ma dopo un po’ ci ritroviamo senza un senso profondo vero e proprio, e l’opera, coi suoi toni barocchi e festosi ,ci appare – soprattutto verso il finale – come la festa dell’insensatezza. A volta mi pare di capire il perché. E’ un perché sbagliato, di parte, lo so, ma lo scrivo lo stesso perché forse potrà generare qualche pensiero giusto, utile a comprendere. Ecco qui: perché il Mercante parla soprattutto – e con l’aggravante della fatuità – di denaro. Questo è il tema principale. E in questo nostro periodo storico non è più un argomento ‘normale’. Sentiamo che c’è qualcosa di abnorme e di vertiginoso – oggi – nel pensiero del denaro. E l’affaticarsi degli uomini contemporanei per accumulare, governare, amare e odiare, reinventare il denaro, sembra arrivato a un punto tragico. Cioè insensato e mostruoso. Dentro il Mercante c’è dunque un mostro. Ma non è Shylock. E’ il denaro. Qualcuno, leggo, è ancora convinto che ci siano dei temi religiosi nel Mercante. Non voglio essere così irriverente da dire che non ce ne sono, ma credo che siano molto meno importanti di quel che sembra. Dio mi pare molto estraneo a questa faccenda (ammesso che ce ne sia qualcuna in cui non lo sia..). Credo che sia un dramma di amici ‘cristiani’, che si oppongono a un estraneo ‘ebreo’. Tra i due clan scorgiamo una differenza, però. I ‘cristiani’ sono tanti, mentre il clan ‘ebraico’ è rappresentato da un solo individuo. Insomma, il primo è un clan reale, l’altro solo presunto. Quindi, a conti fatti, siamo davanti alla lotta di tutti contro uno. E poi di uno contro tutti. Il diverso contro gli uguali. Ormai siamo troppo abituati alle storie dove chi è solo contro tutti, dopo un po’ di peripezie e di dolori, vince. O vince davvero (come Ulisse), o solo moralmente (come Cristo, e perfino King Kong). È un’abitudine che ha modellato la nostra psicologia senza contrasto dai tempi dell’Odissea fino ai Western. La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock – giusta o non giusta che sia – mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che, se mai farò questo spettacolo, starò dalla sua parte.

    Del resto, il bene e il male si spostano di continuo nel corso della piece. Ora Shylock è buono; ora è cattivo. Ora Antonio è il male; ora il bene. Una legge è ingiusta, e poi è giusta. Una musica brutta di giorno, diventa bella di notte. Dipende dalle circostanze. Questa è una verità moderna e inattaccabile. È la morale della favola. La sua verità. La verità di una favola che rivela che non c’è nessuna verità, da nessuna parte. Eppure la vita può essere lo stesso una festa. Anche se il giorno stenta ad apparire. E non è notte né giorno in questa fine di favola.

    È l’ora stramba del teatro, quando sorge una luna di carta, e il vento accarezza le foglie senza fare alcun rumore. Niente ci ferisce. Nemmeno la vita. Non c’è nulla di più lieve, al mondo, del nostro essere qui.

    Insieme. Uguali.


    martedì 15 ottobre 2013

    Il fondamentalismo (del nulla) manco fosse il tuo.

    (aggiornamento alle 20.00: sospese le esequie)

    Alla fin fine il centenario gerarca Priekbe non solo è morto ma anche sepolto. 
    Questo dopo che si è discusso se, dove e come celebrarne i funerali, se farlo in chiesa o altrove, prendendo a calci l'auto e magari malmenando qualcuno dato che si era già in piedi: il tutto per ottenere "audience" sul fondamentalismo del nulla.

    Vado a spiegare: gli unici che avrebbero diritto (malgrado siano passati oltre 68 anni) di qualunque forma di rivalsa nei confronti dell'ex ufficiale tedesco sono soltanto i parenti diretti di coloro che son morti alle fosse ardeatine. Tutti gli altri - compresi tutti quelli che sui social network contribuiscono a farmi  pensare  che non siamo tutti uguali e non abbiamo tutti gli stessi diritti - non hanno nessun fondato motivo per sentirsi perseguitati. Da nessuno. 
    Non hanno partecipato alla guerra, non erano partigiani, non erano nazisti. Forse hanno avuto un parente in guerra o uno che ancora ricorda qualche spizzico di guerra ma questo non li autorizza a definirsi "perseguitati dal gerarca nazista". Non sono mai stati perseguitati davvero. Si fanno portavoce dei perseguitati - che spesso se ne stanno per i fatti loro e hanno cose ben più importanti cui pensare - e si inalberano per conto terzi.
    In questo mondo ci siano ancora un sacco di posti dove se sei ateo vieni ammazzato e se sei agnostico ti impalano, dove si pratica l'infibulazione, se sei gay ti impiccano e altro ancora. E trovo anche sacrosanto che ci sia qualcuno che si occupa dei diritti civili delle persone che debbono patire le crudeltà umane e cercare di portare loro (quando possibile) qualunque genere di conforto.

    Ma fate un piacere al genere umano: non atteggiatevi come se  tutto succedesse solo a voi. Non siete vittime di nessuna inquisizione, di nessuna sharia, di nessuna persecuzione. E mettere una croce su un questionario "a chi destinare l'otto per mille" non è ancora considerata una persecuzione. 
    Gli omosessuali impiccati non sono - comunque - uno spettacolo edificante. Ma per incazzarsi per questo come se accadesse a voi dovete essere gay. E dovete essere gay iraniani.

    Potete arrabbiarvi e manifestare contro i persecutori, è una ragione per fare qualcosa ma non una ragione per sentirsi perseguitati. Anche se foste gay. Perché non succede a voi. Quindi state lottando per un sacco di cose giuste, ma non siete vittime. E non avete conti in sospeso. 
    Parlarne come se ne aveste vi copre di ridicolo.

    Melate e Meline



    Immagine di UrielFanelli

    lunedì 14 ottobre 2013

    Excusatio non petita…


    Qualcuno mi ha fatto notare con gentilezza che talvolta è un po’ difficile seguirmi: parlo di cucina in Francia, disserto di attualità e sembra che io sia in Italia. Per aumentare la confusione dichiaro in quella noticina a destra dal blog di risiedere in Svizzera.

    Lì per lì avrei voluto rispondere che sono fatti miei dove scrivo e vivo ma poi ci ho riflettuto sopra e la questione mi offre lo spunto per un paio di considerazioni che magari possono interessare non solo il qualcuno della prima riga ma anche altri.
    Orbene: mi sento di affermare che sono un esule. 
    Volontario e per niente nostalgico. Dell’Italia tutt'al più rimpiango la pizza ma ormai il mondo è pieno di egiziani che la sanno fare benissimo e quindi il problema è belle che risolto. In Francia pizzaioli egiziani e non tendono a usare il concentrato di pomodoro e il risultato è scadentino; in Svizzera, grazie all'andirivieni dei frontalieri con il loro quotidiano bagaglio di italianità, in generale la pizza è ottima.

    Non rinnego la mia patria d’origine ma ne sono disgustato. 
    Ahimè, non solo dalla masnada dei politicanti ma anche e soprattutto dai miei compatrioti. Che non hanno il coraggio di affrontarli a muso duro e mandarli a quel paese con il biglietto di sola andata una volte per tutte.
    Prima considerazione: non ho più l’età – e da un pezzo – per salire sulle barricate. Da giovane le mie battaglie le ho combattute, eccome. E ho anche sperato che sarebbero servite a chi veniva dopo di me. Errore clamoroso, le esperienze altrui sono inutili come il concime sul marmo.

    Seconda considerazione: un amico inglese, al quale stavo descrivendo la situazione italiana attuale, mi ha blandamente interrotto con un sussurro: “ogni popolo ha il governo che si merita, se non gli piace ha tutti i mezzi per cambiarlo”. Ci sono rimasto male ma devo ammettere che ha ragione, l’italico starnazzamento è fine a se stesso, un costante saggio di indignazione seguito dal nulla cosmico.

    Terza considerazione: sto raccomandando a tutti i sottotrentenni che conosco di abbandonare l’Italia e cercare altrove il loro futuro. 
    Le mamme dei suddetti non riescono a reprimere un sussulto preoccupato, i papà annuiscono gravemente ma mi gioco la barba che poi a casa cercheranno di smantellare parola per parola le mie esternazioni. 
    I bamboccioni in natura non esistono, vengono prodotti e coltivati fra le mura domestiche in totale clandestinità neanche fossero cinesi importati illegalmente.


    Quarta considerazione: quindi mi sento più che giustificato se talvolta fingo di non essere italiano. Ci riesco benissimo, per fortuna.

    La cucina del Nero: Provenza

    I profumi in tavola





    Parlare della cucina provenzale è quasi imbarazzante: ci sono tante e tali meraviglie che non si sa proprio da dove iniziare.
    Come per i colori, anche i sapori sono intensi, esaltati dagli umili profumi della garrigue, la boscaglia mediterranea tipica di questa costa: le foglioline degli arbusti sempreverdi e i ciuffi erbacei si trasformano in aromi dai toni regali. Rosmarino, menta, origano, maggiorana, verbena, santoreggia, timo, alloro, ginepro vengono mescolati con sapiente e antica pazienza donando ai piatti di verdure, carni e pesce quel "certo non so che" unico e inimitabile. Fanno eccezione finocchio selvatico e salvia, considerati da sempre i "no global" della situazione perché esigono di essere lasciati da soli a profumare le pietanze.
    A dispetto dei seducenti barattoli e sacchetti che vengono venduti un po' ovunque ai turisti, le erbe di Provenza devono essere conservate seccate intere e non polverizzate o tritate. La capacità di saperle gestire nel lungo periodo era un requisito indispensabile, pare, affinché in passato un fanciulla venisse ben accolta dalla futura suocera: un mazzetto di timo con tracce di muffa poteva seriamente - e fra la costernazione generale - mettere in discussione il matrimonio.
    Utilizzare le erbe aromatiche è un'arte, in apparenza modesta ma in realtà raffinata. E così democraticamente diffusa da queste parti che anche la più modesta delle trattorie offre piatti profumatissimi.




    Niente roba per signorine 





    Tanto sono intensi i colori di Provenza, tanto lo sono i sapori. Il tempo non ha intaccato la predisposizione dei suoi abitanti verso cibi di una certa...consistenza aromatica anche se qualche piatto, come alcuni esemplari di fauna locale, è a rischio di estinzione per quanto riguarda gli ingredienti originali. 
    Prendiamo per esempio la salade niçoise; tutti noi ne conosciamo innumerevoli varianti ma la vera, unica ricetta è quella che risale al 1850, inventata per deliziare gli esigenti palati dei vescovi della contea: pomodori dell'orto, cetrioli, fave fresche (o cuori di carciofo), peperoni, cipollotti, tonno sott'olio (o filetti d'acciuga), uova sode, olive nere, aglio, basilico, sale e pepe nero macinato al momento. Quindi niente verdure cotte, niente patate, niente saporini delicati che invece spopolano fra le versioni addomesticate dei ristoranti continentali.
    La niçoise nasce gagliarda e tale deve restare, non è roba per stomaci delicati o refrattari all'aglio e alla cipolla. 




    Se poi a metà mattina si vuole provare l'ebbrezza del pan bagnat (altra inossidabile abitudine provenzale), ci si procura un fragrante pane rotondo di campagna, lo si taglia a metà, lo si ubriaca d'olio e lo si farcisce con la niçoise
    Gran parte dei turisti che l'hanno provata è rimasta secca sul colpo, ma in compenso è trapassata felice.




    Neanche il pesce




    Ovvio che il pesce abbia sulle tavole provenzali il suo bravo posto d'onore. Una volta lo stoccafisso era il cibo delle mense povere ma non per questo mancava di regalità: veniva preparato in umido con pomodori e peperoni oppure, in versione "strong" con salsa di acciughe, aglio, olio e basilico. Oggi sfiora prezzi piuttosto alti ma è una prelibatezza alla quale qui nessuno rinuncia. 
    Sul fronte delle zuppe di pesce invece si assiste allo scontro titanico fra due golosità in perenne competizione fra loro: la bouillabaisse, originaria di Marsiglia e accompagnata dalla rouille - mefistofelica salsa a base di aglio, mollica di pane e peperoncino rosso - e la bourride, tipica di Nizza, a base solo di pesce dalla carne bianca e servita con l'aïoli, salsa a base di aglio, olio, tuorli d'uovo. Le tengono compagnia altre due salse: l'anchoïade (base di pasta d'acciughe) e la tapenade (acciughe, olive nere e capperi). Forse nessuno di questi ingredienti sembra speciale ma assemblati e consumati qui hanno un sapore tutto particolare.
    Le umili acciughe sono anche le primedonne della pissaladière: adagiate (come dicono quelli della cucina creativa) su una focaccia ricoperta di cipolle rigorosamente gialle, aglio, olive nere e spolverata di timo. 
    La pissaladière si consuma calda, fredda, come antipasto, come piatto unico, camminando per strada o magari seduti ai minuscoli tavolini dei ristoranti, così piccoli che in qualsiasi altra parte del mondo scatenerebbero le proteste degli avventori e che qui, invece, sono occupati con divertita curiosità dai turisti e tranquilla abitudine dagli abitanti. 




    Dolcezze e finezze




    Per chiudere in bellezza un pasto provenzale non resta che dedicare l'ultimo angolino dello stomaco rimasto disponibile ai dolci locali. Anche in questo la cucina creativa ha ripreso antiche ricette riproponendole con varianti fantasiose ma noi preferiamo parlare di quelle tradizionali. Il panorama è vasto come quello che si gode dai monti a ridosso del mare. Il primo che avvistiamo è il nougat, parente strettissimo del nostro torrone, molto morbido e saporito, subito seguito da una coppia di caramelle, le Tartarinases al cioccolato e le Berlingots di Carpentras, minuscole e dal gusto intenso di menta. A Grasse invece vanno per la maggiore le Fougasettes, focaccine profumate al fiore d'arancio. Ad Avignone un bel ripasso di storia si gusta con le Papalines, a base di cioccolato "condito" con l'Origan du Comtat. A dispetto del nome, non si tratta di erbetta aromatica ma di un distillato di sessanta erbe (fortissimo) che crescono selvatiche sui contrafforti del monte Ventoux, il gigante di Provenza (1912 metri di altezza). Ad Aix si fa di solito la coda davanti alle pasticcerie che producono artigianalmente i calissons, seducente connubio fra mandorle e miele. Se proprio si è impazienti (ma in Provenza, per definizione, non bisogna mai avere fretta, se vi affannate vi guardano storto) non è il caso di rinunciare a una simile delizia: qualsiasi caffè o negozio di commestibili della città ne ha una buona scorta, già impacchettati e pronti per essere sgranocchiati passeggiando sotto i platani.
    Fra le pareti domestiche invece di solito si preparano - specialmente durante il periodo natalizio - la tarte à la courge (zucca) molto simile a quella nostrana e la torta di erbette: due dischi di pasta con in mezzo un ripieno di erbette, pinoli, uva sultanina tenuti insieme da una dose - dipende dalla "sfumatura" alcolica che si vuole dare - di Pastis, conosciuto famigliarmente come "giallino", liquore a base di anice e altre erbe, servito allungato con acqua naturale e ghiaccio come aperitivo.
    I macarones sono il prossimo "trattato". Per darvi un assaggio diciamo solo che sono una specialità ormai nazionale, come lo è il cioccolato. Qui nel centro di Cannes esistono tre, quattro negozi che dovrebbero essere costretti alla chiusura per ragioni di pubblica sicurezza: la gente si ferma di botto, estasiata negli occhi e nelle narici davanti alle loro vetrine, tutto un trionfo di cioccolato fondente, bianco, al latte, ai fiori, alle spezie. E per schiodarla da lì bisogna strillare perentori "più avanti ce n'è uno migliore!".




    Tentazioni




    Girellando per il centro di Cannes è difficile non fermarsi davanti alle pasticcerie e contemplare i profumati capolavori - soprattutto di cioccolato - che invitano alla trasgressione. C'e n'è uno, in particolare, che dovrebbe essere inserito a pieno diritto nella lista degli attentatori alla salute del genere umano: il macarone. Niente a che vedere con la pasta nostrana, anche se il nome è di origine italiana e l'amaretto morbido il suo antenato. Il macarone è un pasticcino a base di farina di mandorle e albume d'uovo, costruito come un bacio di dama e ripieno di crema. Arrivato in Francia nella prima metà del 1500 al seguito di Caterina de' Medici che stava per sposare il re Enrico II, il macarone incontrò subito i favori della corte. Poco importa se in seguito Caterina de' Medici divenne famosa per quella sua certa propensione a eliminare gli avversari politici con i veleni, il macarone ebbe la sua fulgida carriera per conto proprio e restò un classico delle tavole reali fino, dicono, all'ultimo pasto di Maria Antonietta.
    Colorato, appena croccante all'esterno, morbido morbido all'interno e seducente, oggi viene farcito con ogni tipo crema. Compresa, ovvio, quella alla lavanda, la pianticella emblema della Provenza. La ricetta è semplice, l'unico vincolo...etico della preparazione è che la crema deve avere lo stesso aroma e lo stesso colore delle pasta che la racchiude. Insomma, una vera delizia.




    I rosati figli del vento






    Le competenze culinarie della Provenza vanno dalle Alpi al mare attraversando un ondulato territorio intermedio a volte dolce di vigneti, a volte aspro di boschi fittissimi e scoscesi. Nel raggio di pochi chilometri si passa dai trionfali vassoi di coquillage alla cacciagione di montagna e qualcosa di indigeno bisogna pur bere per accompagnare tanto ben di Dio.
    Quando i Romani, con la scusa di aiutare Massalia (la futura Marsiglia) assediata dai Celti, arrivarono qui scoprirono con soddisfazione che i Greci, arrivati prima di loro, avevano già colonizzato le colline con i loro vitigni. Allora, come adesso, i contadini contavano su un prezioso alleato, il Mistral: vento freddo del nord che quando arriva nel golfo del Leone si ringalluzzisce per motivi tutti suoi e poi si avventa con vigore sulle coste e sui loro immediati dintorni spazzando via nuvole e umidità. E' un po' fastidioso da sopportare ma in compenso quando se ne va lascia cieli tersi e aria cristallina. Insomma è una specie di anticrittogamico naturale.
    Così, la tradizione vinicola della Provenza vanta antiche ascendenze ed è anche supportata da una notevole capacità promozionale e di marketing, caratteristica naturale dei nostri cugini francesi e che noi italiani dovremmo copiare con molta umiltà. 
    Infatti, gironzolando nell'interno della Provenza, ci si imbatte in una serie infinita di cantine grandi e piccole, eleganti e curate come tanti minuscoli château, invitanti e sempre pronte ad offrire un assaggio della loro produzione, messa in vendita a prezzi ragionevoli. 
    L'ortodossia enologica provenzale vuole che i vini vengano prodotti da tre o più vitigni e per gli appassionati indichiamo i più diffusi: Grenache, Syrah, Carignan e Cisaut.
    I bianchi sono pochini e gli esperti sostengono che il migliore provenga dai vigneti a strapiombo sul mare nei dintorni di Cassis.
    I rosati sono il punto di forza della Provenza, coprono il settantacinque per cento della produzione locale e spaziano dai vinelli semplici a quelli più pregiati. La maggior parte di questi di solito arrivano dalla zona di Bandol, fra Marsiglia e Tolone. Possono anche essere invecchiati per una decina d'anni; tanta attesa viene ripagata da una evoluzione aromatica di grande carattere e piacevolezza. 
    Tutti i rosati provenzali - dai più...quotidiani alle etichette prestigiose - accompagnano con entusiasmo i cibi definiti "difficili da abbinare": formaggi caprini, olive, qualche tipo di pesce come le sardine e si fidanzano pure con alcuni tipi di dolci. 
    Non vi diciamo quali per non rovinarvi la sorpresa di venire qui e scoprirlo da soli.
    I rossi rappresentano un quarto della produzione provenzale: il più famoso è di sicuro Châteaunuef du Pape di Avignone e Bandol. I vigneti dai quali proviene hanno una singolare caratteristica, sono naturalmente ornati da grossi sassi calcarei, i galets, che proteggono il terreno argilloso dalla intemperanze meteorologiche. Come tutti i loro affini vanno bene solo sottobraccio a piatti corposi e quindi sono poco adatti alle lunghe estati provenzali. Ma dall'autunno in poi spopolano e non c'è nulla di più gradevole che godersi il fuoco di un camino in loro compagnia. Con naturalmente il mare sullo sfondo.
    Un'ultima curiosità: Nizza è l'unica grande città francese ad avere nel suo comune un vitigno meritevole dell'appellativo D.O.C.. 
    E' il Bellet e prende il nome dalle pendici ripide di una montagnola proprio a ridosso della sua periferia. Quindici agricoltori producono ogni anno una piccola quantità di vini bianchi, rosati e rossi di grande qualità, tant'è che spesso si aggiudicano riconoscimenti prestigiosi.


    Programmatori si nasce dentro...


    Lui è concentrato, fisso con gli occhi sul monitor del computer. 
    Pensa a come risolvere un algoritmo, anzi pensa ancora a che linguaggio usare. 
    Forse PHP – decide – potrebbe essere la soluzione migliore. 
    Pensa che, per fare un buon lavoro, dovrà usare anche Ajax sicuramente complicandosi la vita.

    Mentre è lì da un po' che scrive entra lei: 
    “Ciao, amore.” - esordisce - “Mi chiedevo, dopo tanti anni, cosa tu amassi di me...”
    function ajax_get url, ax... 
    ahia – pensa lui - dove vuole andare a parare?
    Con indifferenza le risponde - “In che senso, scusa?” 
    Lei precisa ed amplia la domanda - “Mi chiedevo cosa amassi di me, cosa ti piace del nostro stare insieme.”
    L'occhio da pesce lesso denota il vuoto pneumatico che questa domanda gli provoca. 
    Non ancora certo di aver capito risponde 
    “Tutto, amore, tutto...” 
    Ritornando con l'attenzione alle righe di codice.

    Lei però non molla 
    “No, seriamente. Dire tutto è come dire niente.” 
    “Va bene” - risponde lui - “Il tuo culo.” 
    “Ma dai!” - continua lei - “Non intendevo qualità fisiche, per esempio a me piace molto parlare con te. Tu invece?”

    Azz... - pensa lui - il discorso si fa scivoloso, 'tutto' non va bene, 'culo' neppure, 'parlare-con-te' lo ha già detto lei...Che le dico? 
    Poi un lampo - “I tuoi silenzi” - afferma.

    Lei lo guarda gelida - “Amore... fanculo” - gli dice, uscendo dalla stanza.

    Lui rimane un po' perplesso, pensando
    “Una variabile, ho sbagliato una variabile. Non è così grave, è un errore di disattenzione.” 
    E si rituffa nelle sue righe di codice.

    giovedì 10 ottobre 2013

    La prima neve...

    a Calpiogna.


    Le feste in cucina

    (Post vecchio, rieditato)





    Le aspettative sono molte, sia per alcuni utenti, sia per i commensali!

    Durante questi giorni di festa, molte erano le idee che frullavano nella mente, alcune decisamente "azzardate" altre decisamente più fattibili. Poi, facendo i conti con lo spazio a disposizione, sono giunto a scegliere questa soluzione: pochi commensali alla volta per molte cene! Ho così potuto sfoggiare alcune pietanze che vi illustro immantinente!


    Antipasto:
    Anatra affumicata, Landjaeger con cetriolini e pomodorini.
    L'anatra affumicata è un tipico prodotto francese (l'ho già citata in un post), il Landjaeger è un salume germanico dove la carne di manzo e di maiale viene finemente sminuzzata e leggermente affumicata.







    Primo piatto:
    Risotto con fonduta
    Risotto con salciccia
    Risotto con frutti di mare

    La base per il riso accompagnato è sempre la stessa: un po' di brodo, una pentola con l'olio per il riso e una padella.




    Il risotto con i frutti di mare è piuttosto semplice: si parte con un soffritto molto leggero di cipolla e aglio, si aggiunge un poco di brodo con un cucchiaio di composta di pomodoro, qualche spezia e poi i frutti di mare. Si lasciano leggermente rapprendere e poi si mescolano con il riso. 






    Quest'altro primo piatto è altrettanto semplice, ma per la fonduta ci vuole qualche precauzione.

    La si prepara così: in una terrina, lasciare la fontina immersa nel latte per tre ore quindi sgocciolarla bene e metterla in un pentolino dove avremo precedentemente sciolto il burro. Mescoliamo bene il tutto a caldo fino a che il composto risulti cremoso ma non filante: attenzione a non farla attaccare!. Per ultimo aggiungere le uova e il sale e mesciamo ancora. 
    Ingredienti: gr. 400 di fontina, gr 40 di burro, 2 dl di latte, 4 tuorli, sale.
    Mentre la fonduta si "prepara", cuociamo il riso sempre con il solito brodo e magari un paio di spicchi d'aglio, quindi si manteca con un po' di burro e si versa nel piatto, sopra metteremo la fonduta. Una spolverata di noce moscata e ci siamo.






    Il risotto con la salciccia, rischia di essere piuttosto pesante. E' importante quindi "consumare" bene il grasso della carne quando la facciamo cuocere. Gli ingredienti sono pochissimi:






    Riso, salciccia, prezzemolo e cipolla oltre al solito brodo, magari con le spezie. Facciamo rosolare la salciccia in pochissimo olio e a fuoco basso (per circa 300 gr di carne ci vorrà mezz'ora). Giriamola sovente e a circa metà cottura aggiungiamo la cipolla e un pizzico di composta (giusto per dare colore). Quando il riso è cotto, si manteca direttamente con la salciccia, si aggiunge il prezzemolo fresco e si serve a tavola.


    Secondo piatto:
    La verza con la bagna càuda


    Tagliate sottile sottile sottile (si capisce che deve essere sottile?) la verza bianca.





    In un pentolino, mettete dell'olio extra vergine, qualche spicchio d'aglio e delle acciughe pulite dal sale (se si usano quelle sottolio bisogna metterne qualcuna in più, sono più piccole). Facciamo scaldare a fuoco medio e aiutiamo le acciughe a sciogliersi. Quando è ben caldo versiamo sulla verza. Semplice vero?





    Dolce:
    Panna cotta


    Semplice dolce da preparare (per i pigri esistono anche le buste pronte!) dove vi mostro la presentazione nella coppetta. Ho versato il caramello sul fondo, la panna cotta e sopra un cucchiaio di granella di nocciole.




    A tavola!






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    Altro pezzetto succulento!


    In questi giorni di astinenza da pc, ho però grindato pesantemente i canali televisivi culinari italiani e non solo, e ho estrapolato una ricetta (da una molto più corposa e complicata) che ho subito provato. 

    Maiale e arance

    Ingredienti: maiale, arancia, cannella, sale aromatico, olio.






    Tagliamo il maiale in piccoli cubetti, così come l'arancia. In una padella con poco olio facciamo rosolare il maiale, saliamo, e a cottura quasi ultimata aggiungiamo l'arancio e la cannella. Versiamo nel piatto e buon appetito!